Malastrana è stato il quartiere di Praga che mi ha da subito affascinato in maniera direi sconvolgente, anzi dirò di più : da ancor prima di esser-ci per davvero a Praga, magari ecco subito dopo la lettura di quel Praga Magica di Ripellino del 1973, con una dilazione ventennale. Il sogno delle scimitarre e di Al Capone ricucivano quel simbolico anche nominalistico sulla zona che al di la’ del suo significato letterale Mala = piccola strana = parte , ovvero “piccola parte” quartiere più piccolo sia di stare e novè mesto, ma anche di Zizkov, Holesovice, forse anche Karlin, che per me pero’ era anche il melange con una criminalità (una mala) che si comporta stranamente (Al Capone che rotea una scimitarra) ed anche con uno scrittore a me molto congeniale che il nome Malaparte se l’era dato di proposito: tutto confluiva nella suggestione di una prima visita notturna col freddo di un 31 gennaio 199…, l’anno preciso non lo metto, perche’ era già della nuova stagione con il regime comunista già superato dagli eventi e la grande presenza del Presidente intellettuale Vacav Havel, con già l’affollarsi della grande bolgia del turismo di massa, che però si era ritirata negli alberghi o nelle discoteche di un consumismo rampante, di cui Frank Zappa, si proprio lui quello di Hot Rats e di Grand Wazoo, metteva in guardia dal non lasciarsi irretire, con in mano una bottiglia di Becherovka. I lampioni gettavano sbrilluccicanti sprazzi di luce, color oro antico, sul selciato appena bagnato da una leggera pioggerellina e l’umidità che saliva dalla Moldava come una sinfonia di Smetana, si andava condensando in nuvole di nebbia che tutto avvolgeva e ovattava. Lo ammetto è proprio tra i vicoli di Malastrana che mi era capitato, così come d’incanto di inseguire le ombre di Kafka, di Hasek, di Neruda e dei suoi racconti, e restare sorpreso da un improvviso scorcio che, quasi sempre obliquamente, mi portava la vista ad un improvviso bagliore come quello irradiato dal Castello che si insinua per il canale della Certovka o lungo il viale de U Sovovich Mlynu per esplodere nella piazzetta di Kampa costringendoti a gettare una occhiata a quel rimando di piani orizzontali che sembravano un quadro di Braque e Picasso del periodo d'oro del cubismo, quello della 4^ dimensione; era una sorta di geometrale, un geometrale che dal paesistico passava all'emozionale laddove dall'orizzontale passava alla verticale dando improvvisa consistenza e alla metafora di Nezval, dove tutti quei tetti, le guglie, i pinnacoli, le cuspidi sembrano un accolita di negromanti che stanno grattando il costato del cielo. "Vestita di luce" recita una raccolta di versi di Seifert, e nel vestito ci metti il Kundera dell'insostenibile leggerezza dell’essere o la solitudine troppo rumorosa di Bohumil Hrabal
Malastrana così come tutta Praga è una condensa di stati d'animo, popolato da fantasmi che girano per le strade ancora oggi, come il Kafka del Ripellino di Praga Magica, sulla Celetna ogni mattina alle cinque in punto, che ha deciso di allungare un po’ il passo, percorrere la Karlova e traversare il Ponte Carlo fino a spuntare sulla Mostecka. Mi sono perso per Malastrana tra i suoi vicoli a ridosso della grande piazza e prima ancora di salire su per la Nerudova, a ridosso del grande asse della Karmeltiska – Ujez, dando di fianco al corso della Vtlava e i vari ponticelli del canale della Certovka e del viale de U Sovovich Mlynu, dove risaliva quella nebbia ovattata che ti si fissava dentro il giaccone e ti inumidiva i capelli, pian piano, manco a dirlo sull’incedere della sinfonia di Smetana Ma vlast, ma anche rispecchiandosi negli occhi più azzurri di una fanciulla, che portava un nome impossibile da pronunciarsi, un nome che sempre per quella soffusa magia tendevo ad aggiungere all’elenco di un romanzo di un altro italiano che aveva nominato 55 città, città ovviamente invisibili, ma che in quel nuovo contesto disvelava all’improvviso la sua percezione
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