Un sentito omaggio a Gigi Rizzi che conobbi bel febbraio del 1969 al locale Lo Scarabocchio ancora permeato del trionfo dell'estate precedente quando ebbe quella sua esaltante storia d'amore con Brigitte Bardot, ovvero tradotta in termini di paragone per noi ragazzetti ventenni di belle speranze "essere stato lì dove abitano le dee dell'Olimpo. Prendo degli stralci di un articolo di Massimo Fini scritto per la sua morte avvenuta canonicamente a Saint Tropez il 23 giugno 1973, a 59 anni spaccati (era nato a Piacenza il 23 giugno dl 1944): 59 anni, quindi ancora nei cinquanta e non nei sessanta,che inaugurano ufficialmente quella "vecchiaia" mortificante e infame, specie per chi ha vissuto intensamente tipo Curzio Malaparte (1898-1957) che invece di scegliere il femminile come motivo di estasi della vita, scelse la vita come racconto. Dice dunque Fini "Il fatto che un giovane italiano si fosse presa la donna più bella, più affascinante, più attraente, più chiacchierata del tempo, il sex symbol per eccellenza, un mito, anzi il Mito, venne vissuto come una sorta di riscatto nazionale di un popolo che era da poco uscito dalla povertà, che viveva ancora in uno stato di inferiority complex nei confronti degli altri Paesi europei e in particolare degli arroganti cugini francesi allora in grande spolvero soprattutto nel mondo del cinema che, non avendo ancora la tv preso l'importanza che ha oggi, era quello che dava la grande celebrità, dove sfornavano registi (la nouvelle vague, Malle, Truffaut, Godard, Clouzot) e divi e dive a getto continuo: Alain Delon, Laurent Terzieff, Jean Paul Belmondo, Jacques Charrier, Jean Sorel, Robert Hossein, Sami Frey, Jean Claude Brialy e, fra le attrici, Brigitte Bardot, Annette Stroiberg, Milene Demongeot, Catherine Deneuve, Françoise Arnoul. Un popolo, il nostro, i cui playboy, meglio latin lover si erano dovuti fino ad allora accontentare di dragare tedesche, legnose, vestite con un infallibile cattivo gusto e prive di qualunque sex appeal, ma di coscia facile, sui litorali di Rimini e Riccione o sulle Riviere liguri oppure di fare flanella nei night di Milano e di Genova (Roma faceva, da sempre, storia a sé) con le entraineuse, cioè con delle puttane più o meno di lusso. Ma fra questa nostra povertà allupata (che, come a voler occultare o in qualche modo sfamare, aveva partorito «maggiorate», con enormi tette ma completamente prive di talento), e il 1968 c'era stato il boom economico del 1960-1964 che aveva messo qualche soldo in tasca ai nostri ragazzi e anche Gigi Rizzi era uno dei frutti di quel boom, di quel primo benessere diffuso: se ne era andato, con alcuni amici, a Saint-Tropez e al posto della tedesca o della svedese un po' linfatica, aveva catturato la più prelibata, la più esclusiva, la più difficile, la più desiderata delle prede: BB, alias Brigitte Bardot, la «numero uno», il cui mito resisteva da una decina d'anni, una che aveva attirato l'attenzione dell'indiscusso e schifiltoso guru degli intellettuali europei Jean-Paul Sartre, una di cui Simone de Beauvoir, che le aveva dedicato un saggio, aveva scritto, testualmente, nel 1960 «BB merita oggi di essere considerata un prodotto di esportazione importante come le automobili Renault», una alla quale, caso unico, era stata intitolata una canzone (mi pare da Bob Azam), una per cui tutti spasimavano e deliravano. E quest'idolo, vincendo la concorrenza di attori famosi e di miliardari attrezzati con Rolls, Ferrari e yacht, l'aveva infilzato Gigi Rizzi da Nervi, un ragazzo benestante ma non ricco, un italiano quasi qualsiasi. Rizzi aveva piantato la bandiera tricolore nel punto più delicato e sensibile dell'orgoglio francese. Un trionfo, che equivaleva a una vittoria ai Campionati del mondo di calcio. Qualcosa di così stupefacente da oscurare, per il momento, il Sessantotto. ll breve flirt di Gigi Rizzi con la Bardot, un paio di mesi in tutto, non segnò l'inizio ma la fine di un'epoca, che proprio il Sessantotto avrebbe chiuso e che era stata aperta una decina di anni prima dai poeti e dagli scrittori della beat generation, Allen Ginsberg, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Jack Kerouac, e dal movimento hippy, fermenti che avevano avuto il loro epicentro negli Stati Uniti e a Londra (la «swinging London» dei Beatles, di Mary Quant e della minigonna) e che si erano poi diffusi in tutta Europa, ad Amsterdam, a Berlino, a Ibiza e, da ultimo, anche in Italia. Erano stati quei movimenti a scardinare i vecchi costumi, peraltro in modo soft e incruento, e a portare anche a livello di massa una certa libertà sessuale. E quei movimenti, pur essendo principalmente esistenziali, avevano anche un sottofondo politico e antiborghese a cui Gigi Rizzi e i suoi amici, tra cui mi onoro di appartenere o perlomeno avere appartenuto, anch'io, rimasero sempre del tutto estranei, anche perche ' del sociale e sopratutto della politica ce ne fregavamo della bella. Personalmente avevo preso parte ad alcune manifestazioni del '68 con tanto di scritte, ritornelli cadenzati, e frasi ad effetto, ma non mi avevano minimamente impressionato, anzi se debbo essere proprio sincero, mi avevano alquanto infastidito. Avevano fatto rovinare la Festa della Matricola che era una Festa di cui andavo pazzo, e avevano cominciato a pretendere quell'impegno in servizio permanente effettivo che francamente mi urtava ....uuuuuhh che palle!!!! per carità io ero uno che leggeva le poesie di Ginsberg, Corso e Ferlinghetti, ascoltava Frank Zappa, i Jefferson Airplaine e conosceva a mena dito Bob Dylan e il suo ispiratore Woody Guthrie. Ero anche uno che non si era fatto mancare L'uomo ad una dimensione di Marcuse e anzi ci aveva aggiunto gli altri protagonisti della Scuola di Francoforte Adorno, Horkneymer, preferenziando però alla fine Fromm, più vicino alla psicoanalisi; uno che aveva letto e straletto tutti i romanzi più formativi del secolo La Montagna incantata di Thomas Mann, Il Castello di Kafka, tutto e dico tutto della Generazione perduta (Lost Generation di Gertruide Stein) e in quanto all'Italia: Pavese Carlo Levi e Calvino. eppure mannaggia la pupazza, mi piaceva anche ascoltare Peppino Di Capri, leggere qualche raccontino di Urania e addirittura di tanto in tanto incedere a qualche terrificante fotoromanzo della Lancio dove conoscendo alcuni protagonisti - Franco Gasparri, Franco Dani, Katiuscia, Marina Coffa e persino la futura Ornella Muti, allora Francesca Rivelli mi facevano omaggio di alcune copie. Ho detto terrificanti, e a ragione, difatti non erano infrequenti quelle espressioni "voglio essere tua" "mi ha fatto sua". Gigi era comunque il campione indiscusso, il modello insuperato e ancor non si era diffusa la PNL di Bandler e Grinder, sennò ajvoia a fare esercizi di ristrutturazione in sei passi, sostituendo in seconda battuta del procedimento, la sua persona con la mia e cercare di replicarne il comportamento . in quanto al '68 per me che semmai l'unico accenno politico che mi aveva interessato era stato quello dell'invasione sovietica di Praga, (dove avevo anche cercato di accorrere ma ero stato bloccato alla frontiera di Cheb) ovvero non pro, ma contro il Comunismo, in merito a quel famoso anno, cui sono ancor oggi propenso ad attribuirgli l'epiteto di infausto, in quanto principio di tutto il male che ci ha portato alla situazione attuale di questo liberticida 2020, ecco.... mi piace identificarmi in toto nel libello che uscì qualche tempo dopo quella fatidica estate del 1968
il nome è ripreso da un vecchio locale di Praga Solidni Nejistota dei primi tempi dopo la liberazione dal comunismo
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