mercoledì 30 luglio 2025

MEDICINA COME PRASSI IATROGENA

 

Paradossale che a immagine di testata di un articolo  contro la medicina, usi il volto e una frase di un convinto fabiano autore di famosi libri distopici, ma e'  notorio che io abbia  fatto numerose digressioni  sull'argomento della medicina  come massima responsabile del benessere dell'umanita' : la cosidetta opinione comune e’ convinta, difatti, che l’aumento del numero di anni di vita del giorno d'oggi  sia merito dei progressi della medicina , ma in verita’ non esiste alcuna prova di un rapporto diretto tra questo incremento. I mutamenti che si sono registrati speciue negli ultimi anni  sono variabili dipendenti di trasformazioni sociologiche, politiche, ambientali , pratiche igieniche e soprattutto benessere e sicurezza che tutta una serie di iniziative hanno promosso su strati sempre piu’ larghi della popolazione che a loro volta si riflettono in ciò che i medici fanno e dicono,  e  non hanno alcuna relazione  relazione significativa con la prassi metodologica  che lo specifico medico comporta, tipo  qualifiche sempre piu’ altisonanti, attrezzature sempre piu’ costose, ricerca cosidetta scientifica , tutto un corpo di nozioni e strumenti che costituisce l’unico vero orgoglio dell’operatore sanitario. Dopo oltre  un secolo di perseguimento di questa sorta di  menzogna (perlomeno a partire dal
famigerato Rapporto Flexner, commissionato dal multimiliardario petroliere Rockfeller  che sancì la dipendenza della medicina dalla chimica dei derivati del petrolio nella produzione di farmaci e vaccini  contrariamente a quanto si considera pacifico l’intero servizio
sanitario non ha avuto un peso importante nel produrre le modifiche registrate nelle aspettative di vita Una grande quantità dell'assistenza clinica odierna è incidentale alla guarigione delle malattie, mentre si e’ cominciato a registrare specie dopo l’introduzione del citato Rapporto  Flexner, prima in america e poi in tutto il mondo occidentale un danno procurato da questo nuovo tipo di medicina alla salute degli individui (farmaci) e delle popolazioni (vaccini)  che e’ andato a costituire un sempre maggiore fardello di affezioni procurate proprio dall’uso indiscriminato di questo tipo di terapia, ingenerate dalla medicina stessa e quindi etichettata come iatrogena
(dal greco iatros = medico e genos = origine). Mi rifaccio al saggio di Ivan  Illich “Nemesi medica” del lontano 1976 dove tale  assunto veniva espressamente denunciato, dice questi infatti che “Studiando l'evoluzione della struttura della morbosità si ha la prova che durante l'ultimo secolo i medici hanno influito sulle epidemie in misura non maggiore di quanto influivano i preti nelle epoche precedenti. Le epidemie venivano e se ne andavano, esorcizzate da entrambi ma non impressionate né dagli uni né dagli altri. Esse non vengono modificate dai riti celebrati nelle cliniche mediche più di quanto lo fossero dai
tradizionali scongiuri ai piedi degli altari. Le malattie infettive dominanti all'inizio dell'era industriale illustrano in che modo la medicina si è fatta la sua reputazione. : La tubercolosi, per esempio, raggiunse una punta massima nel corso di due generazioni. A Nuova York, nel 1812, il tasso di mortalità era stimato superiore a 700 su 10000; entro il 1882, quando Koch cominciava a isolare e coltivare il bacillo, era già calato a 370 su 10000,  si era ridotto a 180 quando nel 1910 venne inaugurato il primo sanatorio, benché il 'mal sottile' figurasse ancora al secondo posto fra le cause di decesso.  Subito dopo la seconda guerra mondiale, quando cioè gli antibiotici non erano ancora diventati d'uso comune, la mortalità per tubercolosi era scesa all'undicesimo posto con un tasso di 48. Il colera,  la dissenteria  e il tifo hanno avuto una curva analoga, indipendente dall'azione medica: quando si arrivò a comprenderne l’eziologia e ad applicare loro una terapia specifica, avevano già perso gran parte della loro virulenza e quindi della loro importanza sociale. Se si sommano i tassi di mortalità della scarlattina, della
difterite, della pertosse e del morbillo nei ragazzi sotto i 15 anni, si scopre che quasi il 90 per cento del calo complessivo della
mortalità fra il 1860 e il 1965 era già avvenuto prima che si introducessero gli antibiotici e la vaccinazione di massa. In parte questa recessione si può attribuire al miglioramento del tenore di vita, alla maggiore igiene, alla migliore alimentazione ma  soprattutto, come ho fatto cenno in miei precedenti articoli e anche all’inizio di questo rapportarmi col saggio di Illich,  alla aumentata sicurezza sociale dovuta al diffondersi delle misure di assistenza, di aiuti sociali, di sovvenzioni, tipo indennità varie, pensionamenti etc.   In Inghilterra, alla metà del secolo scorso, le epidemie infettive avevano ceduto il posto alle principali sindromi di malnutrizione, come il rachitismo e la pellagra. Queste a loro volta raggiunsero l'apogeo e poi scomparvero, sostituite dalle malattie della prima infanzia e, qualche tempo dopo, da un  aumento delle ulcere duodenali nei giovani. Quando queste diminuirono, subentrarono le epidemie moderne:  le affezioni coronariche, enfisema, bronchite, obesità, ipertensione, cancro (specialmente dei polmoni), artrite, diabete e i cosiddetti disturbi mentali. Le intense ricerche fin qui svolte non hanno ancora offerto una spiegazione completa della genesi di questi cambiamenti. Ma due cose sono certe: non si può attribuire al merito dell'attività professionale dei medici l'eliminazione delle vecchie forme di mortalità o di morbosità, come non le si può imputare la maggiore attesa di vita.  L'analisi delle tendenze della morbosità ha dimostrato, per più di un secolo, che è l'ambiente il primo determinante dello stato di salute generale di qualunque popolazione -  dell'ambiente fanno parte la geografia sanitaria, la storia della patologia,  l'antropologia medica e la storia sociale degli atteggiamenti verso la malattia. Tutti questi fattori  hanno mostrato che il ruolo decisivo nel determinare come si sentono le persone e in quale età tendono a morire è svolto dall’alimentazione, dall’ambiente,  dal livello sociale  in correlazione col livello di  sicurezza sociopolitica e  riscontro con tutti quei meccanismi di aiuto e assistenza che una societa’ e’ in grado di assicurare a sempre maggiori frange della sua popolazione. Disgraziatamente, l'inutilità di cure peraltro innocue è solo il minore dei danni che l'impresa medica proliferante infligge alla società contemporanea. La sofferenza, le disfunzioni, l'invalidità e l'angoscia conseguenti all'intervento della tecnica medica rivaleggiano ormai con la morbosità provocata dal traffico, dagli infortuni sul lavoro e dalle stesse operazioni collegate alla guerra, e fanno dell'impatto dellamedicina una delle epidemie più dilaganti nel nostro tempo. Fra i crimini che si commettono per vie istituzionali, solo l'odierna malnutrizione fa più vittime della malattia iatrogena nelle sue variemanifestazioni.  Nel senso più ristretto, la malattia iatrogena comprende solo stati morbosi che, se NON si fosse applicata la corretta terapia prescritta dalle norme professionali, non sarebbero insorti. 
 In un senso più generale e più largamente ammesso, la patologia iatrogena comprende tutte le condizioni cliniche i cui agenti patogeni, cioè che provocano il male, sono i farmaci, i medici e gli ospedali.I medicinali sono sempre stati virtuali veleni, ma i loro effetti secondari non desiderati sono aumentati di pari passo con la loro potenza e diffusione. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, dal 50 all'80 per cento degli adulti assorbe ogni 24 o 36 ore un prodotto chimico prescritto da un medico.
Alcuni farmaci provocano dipendenza, altri lesioni, e altrisvolgono un'azione mutagena, magari anche soltanto combinandosi con un colorante alimentare o con un insetticida. In certi pazienti gliantibiotici alterano la normale flora batterica e determinano una superinfezione che permette a microbi più resistenti di proliferare e dinvadere il soggetto. Sottili forme di avvelenamento si sono così diffuse ancora più velocemente della stupefacente varietà di
panacee prescritte per tutti i mali.  
La sofferenza e l'infermità inflitte dai medici hanno sempre fatto parte della pratica medica. L'insensibilità professionistica, la negligenza e la mera incompetenza sono forme di malapratica antiche come il mondo. Ma da quando il medico ha cessato di essere un artigiano che esercitava un'arte su individui che conosceva di persona ed è diventato un tecnico che applica regole scientifiche a classi di pazienti, la malapratica ha assunto un carattere anonimo, quasi rispettabile Ciò che una volta era considerato un abuso di fiducia e una colpa morale ora può essere razionalizzato come una fortuita disfunzione dell'apparecchiatura o dei suoi operatori. Nella complessa tecnologia di un ospedale, la negligenza diventa 'casuale errore umano' o 'avaria del sistema', l'insensibilità 'distacco scientifico' e l'imperizia 'mancanza
di  attrezzature specializzate'. La spersonalizzazione della diagnosi e della terapi ha cambiato la malapratica da problema etico in problema tecnico. Tutto questo e anche peggio abbiamo assistito recentemente durante la cosidetta pandemia di coronavirus un qualcosa di totalmente inventato e pianificato come vero e proprio esercizio di fattibilita'  per un dominio totale che un certo tipo di cosidette elites finanziarie, industriali, tecniche, sanitarie,  aggiornamento di quello che un tempo erano detti semplicemente "bottegai" , ha cercato di applicare ad un popolazione globalizzata , con giustappunto il servile apporto  di piu'classi uniformate al loro dominio (politici, giornalisti, tecnici, di cui forse quella piu' disprezzabile una classe medica  che ha totalmente devocato alla sue premesse di  autonomia e tradizione risalenti ad Ippocrate) 

 

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