mercoledì 30 luglio 2025

MEDICINA COME PRASSI IATROGENA

 

Paradossale che a immagine di testata di un articolo  contro la medicina, usi il volto e una frase di un convinto fabiano autore di famosi libri distopici, ma e'  notorio che io abbia  fatto numerose digressioni  sull'argomento della medicina  come massima responsabile del benessere dell'umanita' : la cosidetta opinione comune e’ convinta, difatti, che l’aumento del numero di anni di vita del giorno d'oggi  sia merito dei progressi della medicina , ma in verita’ non esiste alcuna prova di un rapporto diretto tra questo incremento. I mutamenti che si sono registrati speciue negli ultimi anni  sono variabili dipendenti di trasformazioni sociologiche, politiche, ambientali , pratiche igieniche e soprattutto benessere e sicurezza che tutta una serie di iniziative hanno promosso su strati sempre piu’ larghi della popolazione che a loro volta si riflettono in ciò che i medici fanno e dicono,  e  non hanno alcuna relazione  relazione significativa con la prassi metodologica  che lo specifico medico comporta, tipo  qualifiche sempre piu’ altisonanti, attrezzature sempre piu’ costose, ricerca cosidetta scientifica , tutto un corpo di nozioni e strumenti che costituisce l’unico vero orgoglio dell’operatore sanitario. Dopo oltre  un secolo di perseguimento di questa sorta di  menzogna (perlomeno a partire dal
famigerato Rapporto Flexner, commissionato dal multimiliardario petroliere Rockfeller  che sancì la dipendenza della medicina dalla chimica dei derivati del petrolio nella produzione di farmaci e vaccini  contrariamente a quanto si considera pacifico l’intero servizio
sanitario non ha avuto un peso importante nel produrre le modifiche registrate nelle aspettative di vita Una grande quantità dell'assistenza clinica odierna è incidentale alla guarigione delle malattie, mentre si e’ cominciato a registrare specie dopo l’introduzione del citato Rapporto  Flexner, prima in america e poi in tutto il mondo occidentale un danno procurato da questo nuovo tipo di medicina alla salute degli individui (farmaci) e delle popolazioni (vaccini)  che e’ andato a costituire un sempre maggiore fardello di affezioni procurate proprio dall’uso indiscriminato di questo tipo di terapia, ingenerate dalla medicina stessa e quindi etichettata come iatrogena
(dal greco iatros = medico e genos = origine). Mi rifaccio al saggio di Ivan  Illich “Nemesi medica” del lontano 1976 dove tale  assunto veniva espressamente denunciato, dice questi infatti che “Studiando l'evoluzione della struttura della morbosità si ha la prova che durante l'ultimo secolo i medici hanno influito sulle epidemie in misura non maggiore di quanto influivano i preti nelle epoche precedenti. Le epidemie venivano e se ne andavano, esorcizzate da entrambi ma non impressionate né dagli uni né dagli altri. Esse non vengono modificate dai riti celebrati nelle cliniche mediche più di quanto lo fossero dai
tradizionali scongiuri ai piedi degli altari. Le malattie infettive dominanti all'inizio dell'era industriale illustrano in che modo la medicina si è fatta la sua reputazione. : La tubercolosi, per esempio, raggiunse una punta massima nel corso di due generazioni. A Nuova York, nel 1812, il tasso di mortalità era stimato superiore a 700 su 10000; entro il 1882, quando Koch cominciava a isolare e coltivare il bacillo, era già calato a 370 su 10000,  si era ridotto a 180 quando nel 1910 venne inaugurato il primo sanatorio, benché il 'mal sottile' figurasse ancora al secondo posto fra le cause di decesso.  Subito dopo la seconda guerra mondiale, quando cioè gli antibiotici non erano ancora diventati d'uso comune, la mortalità per tubercolosi era scesa all'undicesimo posto con un tasso di 48. Il colera,  la dissenteria  e il tifo hanno avuto una curva analoga, indipendente dall'azione medica: quando si arrivò a comprenderne l’eziologia e ad applicare loro una terapia specifica, avevano già perso gran parte della loro virulenza e quindi della loro importanza sociale. Se si sommano i tassi di mortalità della scarlattina, della
difterite, della pertosse e del morbillo nei ragazzi sotto i 15 anni, si scopre che quasi il 90 per cento del calo complessivo della
mortalità fra il 1860 e il 1965 era già avvenuto prima che si introducessero gli antibiotici e la vaccinazione di massa. In parte questa recessione si può attribuire al miglioramento del tenore di vita, alla maggiore igiene, alla migliore alimentazione ma  soprattutto, come ho fatto cenno in miei precedenti articoli e anche all’inizio di questo rapportarmi col saggio di Illich,  alla aumentata sicurezza sociale dovuta al diffondersi delle misure di assistenza, di aiuti sociali, di sovvenzioni, tipo indennità varie, pensionamenti etc.   In Inghilterra, alla metà del secolo scorso, le epidemie infettive avevano ceduto il posto alle principali sindromi di malnutrizione, come il rachitismo e la pellagra. Queste a loro volta raggiunsero l'apogeo e poi scomparvero, sostituite dalle malattie della prima infanzia e, qualche tempo dopo, da un  aumento delle ulcere duodenali nei giovani. Quando queste diminuirono, subentrarono le epidemie moderne:  le affezioni coronariche, enfisema, bronchite, obesità, ipertensione, cancro (specialmente dei polmoni), artrite, diabete e i cosiddetti disturbi mentali. Le intense ricerche fin qui svolte non hanno ancora offerto una spiegazione completa della genesi di questi cambiamenti. Ma due cose sono certe: non si può attribuire al merito dell'attività professionale dei medici l'eliminazione delle vecchie forme di mortalità o di morbosità, come non le si può imputare la maggiore attesa di vita.  L'analisi delle tendenze della morbosità ha dimostrato, per più di un secolo, che è l'ambiente il primo determinante dello stato di salute generale di qualunque popolazione -  dell'ambiente fanno parte la geografia sanitaria, la storia della patologia,  l'antropologia medica e la storia sociale degli atteggiamenti verso la malattia. Tutti questi fattori  hanno mostrato che il ruolo decisivo nel determinare come si sentono le persone e in quale età tendono a morire è svolto dall’alimentazione, dall’ambiente,  dal livello sociale  in correlazione col livello di  sicurezza sociopolitica e  riscontro con tutti quei meccanismi di aiuto e assistenza che una societa’ e’ in grado di assicurare a sempre maggiori frange della sua popolazione. Disgraziatamente, l'inutilità di cure peraltro innocue è solo il minore dei danni che l'impresa medica proliferante infligge alla società contemporanea. La sofferenza, le disfunzioni, l'invalidità e l'angoscia conseguenti all'intervento della tecnica medica rivaleggiano ormai con la morbosità provocata dal traffico, dagli infortuni sul lavoro e dalle stesse operazioni collegate alla guerra, e fanno dell'impatto dellamedicina una delle epidemie più dilaganti nel nostro tempo. Fra i crimini che si commettono per vie istituzionali, solo l'odierna malnutrizione fa più vittime della malattia iatrogena nelle sue variemanifestazioni.  Nel senso più ristretto, la malattia iatrogena comprende solo stati morbosi che, se NON si fosse applicata la corretta terapia prescritta dalle norme professionali, non sarebbero insorti. 
 In un senso più generale e più largamente ammesso, la patologia iatrogena comprende tutte le condizioni cliniche i cui agenti patogeni, cioè che provocano il male, sono i farmaci, i medici e gli ospedali.I medicinali sono sempre stati virtuali veleni, ma i loro effetti secondari non desiderati sono aumentati di pari passo con la loro potenza e diffusione. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, dal 50 all'80 per cento degli adulti assorbe ogni 24 o 36 ore un prodotto chimico prescritto da un medico.
Alcuni farmaci provocano dipendenza, altri lesioni, e altrisvolgono un'azione mutagena, magari anche soltanto combinandosi con un colorante alimentare o con un insetticida. In certi pazienti gliantibiotici alterano la normale flora batterica e determinano una superinfezione che permette a microbi più resistenti di proliferare e dinvadere il soggetto. Sottili forme di avvelenamento si sono così diffuse ancora più velocemente della stupefacente varietà di
panacee prescritte per tutti i mali.  
La sofferenza e l'infermità inflitte dai medici hanno sempre fatto parte della pratica medica. L'insensibilità professionistica, la negligenza e la mera incompetenza sono forme di malapratica antiche come il mondo. Ma da quando il medico ha cessato di essere un artigiano che esercitava un'arte su individui che conosceva di persona ed è diventato un tecnico che applica regole scientifiche a classi di pazienti, la malapratica ha assunto un carattere anonimo, quasi rispettabile Ciò che una volta era considerato un abuso di fiducia e una colpa morale ora può essere razionalizzato come una fortuita disfunzione dell'apparecchiatura o dei suoi operatori. Nella complessa tecnologia di un ospedale, la negligenza diventa 'casuale errore umano' o 'avaria del sistema', l'insensibilità 'distacco scientifico' e l'imperizia 'mancanza
di  attrezzature specializzate'. La spersonalizzazione della diagnosi e della terapi ha cambiato la malapratica da problema etico in problema tecnico. Tutto questo e anche peggio abbiamo assistito recentemente durante la cosidetta pandemia di coronavirus un qualcosa di totalmente inventato e pianificato come vero e proprio esercizio di fattibilita'  per un dominio totale che un certo tipo di cosidette elites finanziarie, industriali, tecniche, sanitarie,  aggiornamento di quello che un tempo erano detti semplicemente "bottegai" , ha cercato di applicare ad un popolazione globalizzata , con giustappunto il servile apporto  di piu'classi uniformate al loro dominio (politici, giornalisti, tecnici, di cui forse quella piu' disprezzabile una classe medica  che ha totalmente devocato alla sue premesse di  autonomia e tradizione risalenti ad Ippocrate) 

 

lunedì 28 luglio 2025

RIVOLUZIONI E PAURA

Ri-voluzione è una parola a doppio senso che maschera da più di due secoli uno dei più tragici equivoci che abbia potuto sviare gli uomini. Per rivoluzione noi intendiamo a volte un nuovo orientamento degli spiriti, una porta aperta sull'avvenire. Ma noi intendiamo anche con la parola rivoluzione il crollo o il rovesciamento di una vecchia legalità, la sovversione totale o parziale delle regole stabilite. Che cos'è una legalità? L'insieme delle regole che fissano i rapporti fra gli uomini di una stessa collettività, fra governanti e governati. Sino a quando essa è riconosciuta e rispettata, l'ordine regna. Una legalità tuttavia, non è mai eterna. V'è sempre una parte della popolazione che le è contraria. Quando questa insorge ecerca di distruggerla, c'è una rivoluzione. La prima rivoluzione corrisponde alla formazione di un nuovo orientamento generale degli spiriti, cioè alla nascita e alla diffusione di un nuovo ethos o, per dirla con il linguaggio delle scienze sociali, di una nuova cultura con i suoi valori e i suoi progetti di vita. Quando le minoranze intense riescono, con il fascino che è proprio della creatività, a contagiare le masse e a convertirle, si ha, per l'appunto, una rivoluzione culturale, la quale pone automaticamente il grande problema del riadattamento dell'ordine istituzionale. Ma le rivoluzioni culturali sonoestremamente lente. Per questo occorrono generazioni per percepire i loro benefici effetti, poiché le masse sono naturalmente conservatrici. Esse, inoltre, sono rivoluzioni silenziose. Gli episodi di violenza o di rottura improvvisa della continuità istituzionale sono di scarsa importanza nell'economia generale della loro dinamica storica. Tutt'altra natura e tutt'altro ruolo hanno le rivoluzioni del secondo tipo. Esse sono essenzialmente distruttive: abbattono le norme che regolano le relazionifra governanti e governati e calpestano il principio di legittimità che le sostiene e le anima. Si possono verificare in pochi mesi, persino in pochi giorni, e hanno effetti sconvolgenti poiché, distruggendo la legalità esistente, fanno precipitare la comunità politica nel caos e nella paura. Di colpo gli uomini scoprono che non possono più fidarsi gli uni degli altri, poiché l'accordo sui principi e sulle norme che regolano la dialettica del comando e dell'obbedienza non ha più alcuna coerenza.È chiaro che questi due fenomeni ora descritti  sono un  po' la chiave per comprendere la natura duale dell'epoca che si era aperta con la solenne Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino e che aveva proseguito con una serie interminabile di guerre, di colpi di Stato e di tirannidi. "Perché - si domanda Ferrero - la rivoluzion francese, che intendeva dare all'intera umanità «libertà, ugualianza e fraternità», ha fatto precipitare l'Europa nel baratro della paura e delle tirannie? Quale paradosso delle conseguenze fece sì che invece della liberazione dall'oppressione sorse quello che Robespierre ebbe l'offensiva franchezza di chiamare «il dispotismo della libertà»? Che cosa ha sempre impedito che i rivo-luzionari potessero applicare i princìpi democratici da essi stessi proclamati? Attraverso quale processo socio-psicologico si passa dall'anarchia alla tirannia rivoluzionaria? Gia' Cromwell in Inghilterra aveva percepito chiaramente il paradosso della rivoluzione: «È doveroso governare con il consenso del popolo; ma come farlo se tale consenso non esiste?». Ed era giunto a questa conclusione cinica: era sufficiente avere il consenso degli armati per ottenere l'obbedienza generale. Senonché le generazioni successive hanno dimenticato, o non hanno inteso, il senso di tale amara confessione e hanno accarezzato il contraddittorio disegno di istituire il governo del popolo attraverso la rottura rivoluzionaria, con il risultato di produrre regimi mostruosi che, nello stesso tempo in cui proclamano il diritto del popolo ad autogovernarsi, aboliscono tutti gli strumenti - primi fra tutti il potere dell'opposizione e la tutela delle minoranze - necessari alla materializzazione di tale diritto. Ed è proprio questa applicazione rovesciata della formula democratica che, secondo Ferrero, caratterizza il Governo rivoluzionario e lo condanna irrimediabilmente all'inautenticità. E veniamo quindi a dove Ferrero si impone come pensatore d'eccezione, nel suo rifarsi a principi psicologici applicati alla storia, un po' a mo' del Freud di Un avvenire di una illusione  o anche del "disagio della civilta'", ecco difatti si lancia in una asserzione che si impone per chiarezza e correttezza di metodo ;  "ciò che caratterizza in modo determinante la condizione umana" dice senza imbarazzo" è la paura" . L'uomo è una creatura costitutivamente paurosa (nel senso che ha paura e fa paura) poiché è il solo essere vivente che ha l'idea e il terrore della morte. Questa paura originària e costitutiva dellla sua stessa essenza e' la matrice di tutti i suoi problemi e di tutti i suoi affanni, popola la sua fertile immaginazione di fantasmi mostruosi, di pericoli reali e fittizi, sicché l'uomo può essere definito un animale che vive al centro di un sistema di paura ed e' riuscito ad avere paura di tutto, sopratutto della stessa paura. E' dalla paura di fronte alla stessa paura e quindi di fronte a tutto il suo ambiente, alla natura, ai suoi simili, agli' altri (nemici reali o immaginari) e al futuro (fonte perenne di angoscia e di preoccupazioni) che nasce la civiltà, un qualcosa di tutto sommato artificiale ovvero una  condizione di sicurezza e stabilita'  che non è affatto il prodotto spontaneo delle cosl dette facoltà dell'uomo o del suo naturale spirito sinagogico. Al contrario: la civiltà è una risposta a una condizione di vita satura di paure, di angoscie nevrotiche e di terrori. L'uomo inventa, produce, costruisce quel complesso multiforme di tecniche, di istituzioni, di simboli, di modelli di comportamento chiamato civiltà poiché vive in una condizione di radicale insicurezza . Per Ferrero come per Freud La civiltà è quindi l'insieme delle strategie poste in essere dall'uomo per sconfiggere la sua paura originaria o,che è lo stesso, per dare un minimo di sicurezza  alla sua vita. La religione, la politica, la guerra, la morale ecc. non sono altro che il tentativo, sempre reiterato perché imperfetto, di azzerare la paura, eliminando - o quanto meno riducendo al minimo - gli elementi di instabilità e di incertezza della condizione umana. Il che porta Ferrero a definire la civiltà «una scuola di coraggio», e a interpretarla in una chiave singolarmente affine a quella indicata da Freud e dai suoi seguaci (T.Reik, G. Roheim ecc.), vale a dire come un sistema digusci protettivi, di nicchie culturali entro cui gli uominisi sentono meno esposti ai pericoli (reali o immaginari) dell'esistenza.Il primo strumento per sconfiggere la paura è l'arma.Con un'arma l'uomo si sente capace di affrontare la vita e i suoi pericoli con maggior tranquillità d'animo. Ma ciò significa che egli ha anche la capacità di far paura poiché può offendere mortalmente gli altri, iquali, a loro volta, possono minacciarlo. Così più gli  uomini si armano per sconfiggere la loro paura e più hanno paura. A questo punto Ferrero inserisce il suo teorema centrale: gli uomini istituiscono il Potere e i suoi terribili apparati repressivi per ridurre ai minimi termini la paura che si fanno reciprocamente. Il Potere, pertanto, è la manifestazione suprema della paura che l'uomo fa a se stesso, malgrado gli sforzi per liberarsene. È questo forse il segreto più profçmdo ed oscuro della storia. Come si vede, qui tutto accade come in Hobbes: lo«Stato di natura è caratterizzato dal bellum omnium contra omnes che rende onnipresente - e angoscioso  lo spettro della guerra civile. Per superare questa condizione autodistruttiva, l'uomo crea il Potere, che ha la funzione di imporre con la forza la pace e l'ordine. Ma nulla garantisce che il Potere sia sempre assecondato

domenica 27 luglio 2025

ESSER-CI A DESTRA


 Montanelli, Evola Schmitt, Junger, Pound, De Benoist, Dugin e molti altri pensatori che  malgrado gli enormi sforzi degli ultimi 80 anni  la sinistra non  e' del tutto  riuscita a emarginare, vanno  oggi sempre piu' vanno tornando in auge  per cui se vogliamo recuperare una modalita' di "esser-ci "(intendo proprio Heideggeriamente, cioe' di Martin Heidegger altro pensatore di destra ) che spazzi via tutto l'orrore degli ultimi anni (per non dire secoli), dobbiamo operare quel grosso distinguo tra Destra e sinistra che non sono piu' le posizioni dei Deputati dell'Assemblea Costituente del 1789, ma una vera e propria modalita' appunto di esser-ci in questo nuovo composito mondo  che tenga conto di tutta una somma di fattori, ove per quanto si sostenga che la differenza tra destra e sinistra non e' piu' attuale, in verita' i distinguo ci sono eccome anche se hanno assunto una diversa configurazione. Anzitutto una analisi di tipo storico tradizionale : la sinistra originariamente intesa come populista, democratica, progressista, la destra padronale, aristocratica, sovranista. Le recenti vicissitudini della Societa' Umana ci hanno invece fatto toccare con mano che queste si!: sono suddivisioni del tutto arbitrarie e decisamente fuorvianti. La mentalita' di sinistra con il turbo capitalismo avanzato e il post progressismo denunciato appunto da De Benoist e sopratutto da Dugin si e' rivelata la piu' sollecita serva del sistema dominante costituito di pochissimi ipercapitalisti eredi dei bottegai di anglosassone memoria, mentre la Destra si e' sempre piu' arroccata in una posizione di compromesso, senza riuscire a ritrovare le ragioni di una sua decisa superiorita' culturale e intellettiva.
La vera gente di Destra e' oggi quella ristretta cerchia di persone che non ha creduto alla farsa della pandemia con un influenzetta spacciata per

chissa' quale pestilenza, inventandosi un fantomatico virus nelle risibili varianti di una falsa credenza microbica alla Pasteur o addirittura formulando ancora piu' risibili fantasie a proposito della creazione di virus in laboratorio, ed ancora non ha creduto alla iatrogena imposizione di vaccinazioni, e non si e' fatta abbindolare dai lasciapassare, dalle restrizioni, dalle segregazioni, dal riproporsi in scala generalizzata delle vergognose Leggi Razziali, non ha quindi creduto alle ragioni della Nato nel favorire la guerra in Ucraina e si fa beffe di tutte le panzane sul caldo mai registrato prima e divulgato a gran carcassa dalla infame classe giornalistica, vera serva di due padroni : il denaro e la tecnologia.
E' a proposito della tecnica e tecnologia che giova rileggersi alcuni passi del libello "Populismo" di De Benoist:
La tecnica ha varcato il mondo umano? ci si chiede ? Per la cultura dominante, l’uomo coincide con i suoi strumenti,e quindi diviene parte funzionale di un meccanismo di dipendenza, quando invece non si rinuncia alla distinzione cruciale tra tecnica e tecnologia, e all’approfondimento del senso della dicotomia che ci ha condotti in una situazione inedita per l’umanità, vi e’ la grande differenza che la tecnica è il saper fare con scopo, mentre tecnologia è un riduzionismo funzionale - scienza applicata che produce un “impianto” – una "Gestell", per dirla con Martin Heidegger – il cui fine è quello di fornirci una funzione senza passare attraverso il saper fare e quindi ci rende dipendente da un meccanismo viziato e con scopi precostituiti da altri. Paradossalmente le culture tradizionali avevano competenze tecniche incomparabili rispetto all'uomo
contemporaneo. Carl Schmitt identificò nelle due forme secolarizzate complementari di un pathos – l’uno tecnico, l’altro moralistico – l’elemento basilare di ogni società liberale moderna, vista come l’epoca delle “neutralizzazioni”; epoca nella quale tutto ciò che è politico si sfalda di fronte al prevalere di dinamiche fatte di pura concorrenza, disciplinate da automatismi tecnico-commerciali e da meccanismi che non vedono più uomini e comunità, ma un’informe moltitudine di alienati. La storia resta aperta; in un contesto geopolitico in cui venga meno l’unilateralismo universalistico, si apre l’opportunità di un multipolarismo internazionale. L’Europa è di fronte al proprio declino atlantico, nell’assecondare una subalternità al decadente modello americano, oppure nel cercare un’originale comunità di destino continentale. L’auctoritas è il principio che consente di distinguere tra la legittimità e la mera legalità del potere, subordinando la forza al diritto, inteso in senso non formale e procedurale, ma numinoso; ossia in grado di far riverberare su di sé in modo conforme la coscienza collettiva, ponendo nella forma del limite la potenza: la civiltà contro la barbarie

martedì 15 luglio 2025

LE UR -LODGES COSA SONO?

Puoi chiamarli neoliberisti, monopolisti, privatizzatori, globalisti, neoliberisti, turbocapitalisti, golpisti bianchi..... ma sono essenzialmente massoni.  E non c'entrano niente le appartenenze nazionali :  si tratta di supermassoni in quota alle Ur-Lodges, le oscure superlogge sovranazionali. Precisamente: le Logge di segno neo-aristocratico, che se ne infischiano della democrazie, del potere politico, si sentono al di sopra di tutto e di tutti e puntano a dirigere loro il potere, secondo i loro piani rimettendolo nelle mani di una non meglio precisata elite' con organizzazioni al loro servizio,  tipo le grandi catene economico-finanziarie, le lobbies industriali e anche istituzioni politiche non autorizzate che nessuno ha mai votato  tipo la Ue e le  sue Commissione di non-eletti. Giochi di specchi: laddove si parla di finanza  e geopolitica, citando banche centrali e governi e  si omette sempre di scoprire chi c’è dietro. Sempre gli stessi, sempre loro: un club ristrettissimo di padreterni, di “contro-iniziati” che si credono onnipotenti e autorizzati, come per diritto divino, a manipolare in eterno il popolo bue, ridotto a bestiame umano. Lo ricorda Patrizia Scanu, segretaria del Movimento Roosevelt, sodalizio fondato dal massone progressista Gioele Magaldi proprio con l’intento di smascherare l’attuale governance europea finto-democratica.

Guardo sempre con infinita circospezione qualsivoglia associazione che si rifaccia alla massoneria, ma tuttavia in questo caso  voglio concedere una possibilita' di confronto a questo testo che si rifa' ad un personaggio che detesto, ma che in termini di efficacia , bisogna convenirne  lo e' stato fin troppo per il suo Paese: Franklkin Delano Roosvelt il quale a ben vedere si  si rifaceva all'unica voce di plausibilita' in tutto lo scibile di quella pseudo scienza che e' l'economia, ovvero John Maynard Keynes, che ovviamente tutto si definiva tranne che un economista. Continuiamo quindi a prestare attenzione alle parole di questi nostri nemici-amici:   una rivelazione importante : dietro ai principali tornanti della nostra
 storia recente ci sono sempre gli stessi personaggi, i medesimi circoli occulti: grazie a loro, in fondo, poi in Italia crollano anche i viadotti autostradali. «Se l’obiettivo era il ripristino del potere di classe delle élite, il neoliberismo era senz’altro la risposta giusta», premette il politologo britannico David Harvey nella sua “Breve storia del neoliberismo” (Il Saggiatore). Il neoliberismo come clava: privatizzazioni selvagge, attraverso una martellante propaganda ideologica esplosa negli anni ‘90: libertà d’impresa, Stato minimo, liberalizzazioni, deregulation. 
La “teologia” neoliberale non spiega tutto, se siamo stati globalizzati “a mano armata” lo si deve, anche e soprattutto, al «forte nesso esistente fra massoneria neoaristocratica e neoliberismo da una parte e fra neoliberismo e monopoli privati dall’altra». Un legame nascosto, non facile da individuare. «A prima vista, si direbbe che la libertà del mercato predicata dalla teoria neoliberista sia in contraddizione con i monopoli privati». Ma come si fa a predicare il libero mercato fondato sulla concorrenza, per poi cedere i beni pubblici come le autostrade «regalate agli amici della Casta»? La risposta la fornisce Magaldi nel suo bestseller: la vernice ideologica è servita essenzialmente come cosmesi, per coprire l’immane, brutale restaurazione neoliberista architettata da loro, i signori delle Ur-Lodges oligarchiche. Nulla a che vedere con le massonerie ordinarie, come il Grande Oriente e la Gran Loggia d’Italia, regolarmente registrate. il problema è il mondo, coperto e sovranazionale, delle Ur-Lodges, «un network di super logge che rappresentano l’élite massonica mondiale, alla quale aderiscono i membri più ragguardevoli della massoneria ordinaria e persone di prestigio (moltissimi i politici di governo) “iniziate” per particolari doti individuali esoteriche e sapienziali, e provenienti da ogni angolo del pianeta». Club super-esclusivi, «la cui esistenza è sconosciuta ai più». Come agiscono, questi circuiti-ombra? Attraverso «i vari club paramassonici, quali la Trilateral Commission o il Bilderberg Group, che ne sono solo l’espressione più visibile e aperta». Ma la massoneria settecentesca non era stata il motore della modernità democratica? «La democrazia non l’ha portata in dono la cicogna», ricorda Magaldi: furono proprio le logge massoniche a incubare, cominciando dalla Francia, lo Stato di diritto e il suffragio universale. A qualcuno, poi, l’Ottocento e il Novecento hanno dato alla testa: se sai di essere l’architetto del mondo nuovo, può succedere che tenda a considerarlo di tua proprietà, sentendoti autorizzato a compiere qualsiasi manipolazione, dai golpe alle crisi finanziarie. Se non si capisce questo, sottolinea Magaldi, non si riesce ad afferrare la vera natura – profondamente oligarchica – del potere (prima occidentale, poi globale) che dagli anni ‘80 ha assunto il dominio del pianeta, ricorrendo sistematicamente all’abuso e alla violenza. Mai dimenticare, quindi, il ruolo decisivo delle superlogge, «che costituiscono il back-office del potere a livello internazionale». Magaldi ne fornisce una mappa completa: ci sono quelle conservatrici (si chiamano “Edmund Burke”, “Joseph De Maistre”, “Compass Star-Rose”, “Pan-Europa”, “Three Eyes”, “White Eagle”, “Hathor Pentalpha”) ma non mancano quelle progressiste, di stampo rooseveltiano e keynesiano, che sostennero i leader progressisti del dopoguerra, fino ai Kennedy e alla stagione dei diritti civili negli Usa, aiutando paesi come l’Italia a non cadere sotto le trame golpiste. Il frutto più palpabile del loro lavoro, in Europa? Il sistema del welfare: ideato dall’inglese William Beveridge. Chi ne effettuò la più spettacolare applicazione? La Svezia di Olof Palme, altro supermassone progressista. Poi, dalla fine degli anni Settanta, le Ur-Lodges democratiche (“Thomas Paine”, “Montesquieu”, “Chistopher Columbus”, “Ioannes”, “Hiram Rhodes Revels”, “Ghedullah”) hanno perso terreno, di fronte allo storico attacco delle superlogge rivali, con le quali – a nostra insaputa – stiamo tuttora facendo i conti, ogni giorno. L’obiettivo dei neo-aristocratici? «Invertire il corso della storia , trasformando coloro che erano cittadini in neosudditi e schiavizzando sempre di più quelli che sudditi erano sempre rimasti». Lo stesso Magaldi ricorda che i supermassoni oligarchici hanno voluto «aumentare a dismisura il proprio potere materiale, mediante colossali speculazioni ai danni di popoli e nazioni». Il loro piano: «Assurgere essi stessi, nell’incomprensione generale di quanto va accadendo, alla gloria di una nuova aristocrazia iniziatico-spirituale dell’era globalizzata». Dopo gli anni del boom economico e l’affermazione dei diritti sociali, ricorda Patrizia Scanu, la micidiale riscossa neoaristocratica è stata meticolosamente programmata negli anni ‘70. Le prove? «Gli economisti Friedrich Von Hayek e Milton Friedman, principali teorici del neoliberismo, nonché Robert Nozick, filosofo politico e teorico dello “Stato minimo”, erano tutti massoni neoaristocratici; Von Hayek e Friedman erano affiliati alle Ur-Lodges “Three Eyes” ed “Edmund Burke”, e dal 1978 anche alla “White Eagle”». Fu proprio grazie all’impulso di queste superlogge, che Von Hayek e Friedman ottennero, rispettivamente nel 1974 e nel 1976, il Premio Nobel per l'Economia («che, detto per inciso, non viene assegnato dagli accademici di Svezia, ma dai banchieri svedesi»). Il progetto era semplice: «Far diventare il neoliberismo – teoria allora marginale e ininfluente – il mainstream in economia». Ostacoli politici, all’avanzata dei restauratori? «Il nemico apparente era il socialismo, ma l’obiettivo vero era il keynesismo», ovvero la teoria del massone progressista inglese John Maynard Keynes, “cervello” del New Deal di Roosevelt che risollevò l’America dalla Grande Depressione, fino a creare – di riflesso – il boom economico anche in Europa. Come? Espandendo in modo formidabile il deficit, il debito pubblico strategico, per creare lavoro, fino a realizzare la piena occupazione. Di qui la reazione dell’élite, spaventata da tutto quel benessere piovuto sulle masse: «Si voleva abbattere il “capitalismo dal volto umano”, che si era consolidato specie in Europa, con l’intervento regolatore dello Stato in economia  e la diffusione del welfare», scrive Patrizia Scanu. «Fu l’ideologia neoliberista ad ispirare la globalizzazione così come la conosciamo, con tutti i suoi tremendi squilibri e le sue enormi disuguaglianze, che fu programmata a tavolino dalle superlogge reazionarie».  Economia  e geopolitica:  Sempre “loro”, in azione. Ovunque: «Erano massoni neoaristocratici i leader politici che applicarono le ricette neoliberiste in economia nei loro paesi». Per esempio Augusto Pinochet in Cile: «Il colpo di Stato del 1973 fu promosso dalle Ur-Lodges “Three Eyes, di cui era membro Henry Kissinger, fra le menti dell’operazione Condor, e “Geburah”. E che dire di Margaret Thatcher (in quota alla “Edmund Burke”), spietata madrina del neoliberismo nel Regno Unito? Ma la contro-rivoluzione non coinvolse il solo occidente: Deng Xiao Ping, che introdusse l’economia  di mercato in Cina, era affiliato alla “Three Eyes”. Ronald Reagan? A sua volta membro della Ur-Lodge “White Eagle”, «di cui facevano parte due presidenti della Federal Reserve, Paul Volcker e Alan Greenspan, artefici delle politiche monetarie neoliberiste». Nella “White Eagle” anche William Casey e Antony Fisher, i fondatori del Centre for Economic Policy Studies, importante think-tank neoliberista. «Fra i consiglieri economici di Reagan vi erano numerosi economisti neoliberisti provenienti dalla paramassonica Mont Pelerin Society», fondata dall’austriaco Von Hayek e poi retta, a lungo, dal futuro ministro berlusconiano Antonio Martino. Riletta così, la nostra storia  recente risulta più comprensibile: fu un’iniziativa neoaristocratica anche la pubblicazione del celebre volume “The Crisis of Democracy”, avvenuta nel 1975 a cura di Samuel Huntington, Michel Crozier e Joji Watanuki («massoni reazionari tutti e tre, affiliati alla “Edmund Burke” e alla “Three Eyes”»,  Il volume «concluse un lungo periodo di attività e di elaborazione di strategie da parte di numerose Ur-Lodges neoaristocratiche», iniziato negli anni 1967-68 con la fondazione della potente “Three Eyes”. «Fu il manifesto pubblico e propagandistico con il quale si voleva attirare il consenso dei massoni moderati», raccontando che la “crisi ” era dovuta – tu guarda – a un “eccesso di democrazia . Troppi diritti, troppa uguaglianza, troppa partecipazione da parte dei cittadini. Il saggio «sosteneva l’importanza dell’apatia delle masse verso la politica , da raggiungere mediante il consumismo e il disgusto verso la corruzione». Al tempo stesso, «proponeva la ricetta per riportare il governo saldamente nelle mani di un’élite, trasformando la democrazia  in oligarchia». Questo era il progetto: svuotare di contenuto la democrazia, usando – come strumento – la diffusione del “credo” neoliberista. Un’epidemia diffusasi a macchia d’olio sulle due sponde dell’Atlantico: nel 1978 fu creata la super-segreta “White Eagle” «per portare Margaret Thatcher al governo nel Regno Unito e Ronald Reagan negli Usa.Poi, a ruota, sempre alla “White Eagle” furono affiliati gli italiani Ciampi e Andreatta 
che nel 1981 furono gli artefici del primo clamoroso passo verso la liquidazione dell’Italia come potenza economica, attraverso la mai abbastanza vituperata separazione fra Banca d’Italia e Tesoro, che privò il nostro paese della sovranità monetaria, rendendoci schiavi delle banche private. Una svolta sciagurata, «che avviò la perversa spirale del debito». Lo documenta in modo perfetto l’economista post-keynesiano Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt: «Alla fine degli anni ‘80, la vera partita dietro le quinte è la liquidazione definitiva dell’Italia come competitor strategico». Ciampi, Andreatta e De Mita avevano un obiettivo preciso: «Cedere la sovranità nazionale, pur di sottrarre potere a quella che consideravano la classe politica più corrotta d’Europa». Col divorzio tra Bankitalia e Tesoro, per la prima volta il paese si trovò in crisi finanziaria: prima, infatti, era la Banca d’Italia a fare da “prestatrice di ultima istanza” comprando titoli di Stato e, di fatto, emettendo moneta destinata all’investimento pubblico. Chiuso il rubinetto della lira, la situazione precipitò: con l’impennarsi degli interessi (da pagare a quel punto ai nuovi “investitori” privati) il debito pubblico esplose, letteralmente, fino a superare il Pil. Non era un “problema”, un infortunio. Al contrario: era esattamente l’obiettivo voluto. Cioè: «Mettere in crisi lo Stato, disabilitando la sua funzione strategica di spesa pubblica a costo zero per i cittadini, a favore dell’industria e dell’occupazione». Degli investimenti pubblici da colpir «la componente più importante era sicuramente quella riguardante le partecipazioni statali, l’energia e i trasporti, dove l’Italia stava primeggiando a livello mondiale». Tutti d’accordo, ai vertici dell’élite neoliberale: al piano anti-italiano partecipò anche la grande industria privata, a partire dalla Fiat, che di colpo smise di investire nella produzione delle auto e preferì comprare titoli di Stato: da quando la Banca d’Italia non li acquistava più, i tassi erano saliti alle stelle. Amputando lo Stato, la finanza pubblica si era trasformata in un ghiottissimo business privato.
Fu così che, di colpo, l’industria passò in secondo piano: da lì in poi, sarebbe dovuta “costare” il meno possibile. 
«In quegli anni la Confindustria era solo presa dall’idea di introdurre forme di flessibilizzazione sempre più forti, che poi avrebbero prodotto la precarizzazione». Aumentare i profitti: «Una visione poco profonda di quello che è lo sviluppo industriale». Risultato: «Perdita di valore delle imprese, perché le imprese acquistano valore se hanno prospettive di profitto». Dati che parlano da soli. E spiegano tutto: «Negli anni ’80 – racconta ancora Galloni – feci una ricerca che dimostrava che i 50 gruppi più importanti pubblici e i 50 gruppi più importanti privati facevano la stessa politica, cioè investivano la metà dei loro profitti non in attività produttive ma nell’acquisto di titoli di Stato, per la semplice ragione che i titoli di Stato italiani rendevano tantissimo. E quindi si guadagnava di più facendo investimenti finanziari, invece che facendo investimenti produttivi. Questo è stato l’inizio della nostra deindustrializzazione». Avevano fatto un ottimo “lavoro”, i nostri Ciampi e Andreatta, manovrati dalla “White Eagle” reaganiana e thatchriana, avanguardia dell’élite occulta che, in capo a undecennio, avrebbe poi licenziato – usando Mani Pulite – i “ladri” della Prima Repubblica, per prendersi l’Italia in blocco, lasciando lo Stato in bolletta e i cittadini in mutande. E’ abbastanza deprimente, scrive Patrizia Scanu, scoprire – oggi – che i campioni delle storiche privatizzazioni degli anni ‘90 erano, tutti, massoni neoaristocratici. Le famigerate e scandalose dismissioni e privatizzazioni all’italiana furono supervisionate dalla regia del massone neoaristocratico Mario Draghi, «affiliato alle Ur-Lodges “Pan-Europa”, “Edmund Burke” e in seguito anche alla “Three Eyes”, alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum” e alla “White Eagle”». Draghi agiva in qualità di direttore generale del ministero del Tesoro, carica-chiave che rivestì dal 12 aprile 1991 al 23 novembre 2001. Quelle privatizzazioni selvagge furono quindi inaugurate «per conto terzi» sotto il primo governo di Giuliano Amato (1992-93), poi proseguite dal governo Ciampi (1993-94), dal primo governo Berlusconi (1994-95), quindi dal governo di Lamberto Dini (1995-96), dal primo esecutivo guidato da Romano Prodi (1996-98), infine dal governo D’Alema (1998-2000) e poi dal secondo governo Amato (2000-2001). «L’immarcescibile e granitico Mario Draghi – scrive Magaldi – diresse le operazioni ininterrottamente per un decennio, mentre a Palazzo Chigi si avvicendavano ministri e premier del tutto compiacenti (da destra, centro e sinistra) al piano di doloso smembramento e immotivata (sul piano dell’interesse pubblico) svendita a potentati privati di beni e aziende di proprietà del popolo sovrano». Tutto cominciò nel 1992. Vogliamo ricordare che cosa fu privatizzato? Lo illustra Francesco Amodeo su “Scenari Economici”. Il ‘92, scrive Amodeo, «è l’anno in cui in soli 7 giorni cambia il sistema monetario italiano, che viene sottratto dal controllo del governo e messo nelle mani della finanza speculativa». Per farlo «vengono privatizzati gli istituti di credito e gli enti pubblici, compresi quelli azionisti della Banca d’Italia». Sempre il ‘92, è l’anno in cui «viene impedito al ministero del Tesoro di concordare con la Banca d’Italia il tasso ufficiale di sconto (il costo del denaro alla sua emissione), che viene quindi ceduto a privati». Non solo: «È l’anno della firma del Trattato di Maastricht e dell’adesione ai vincoli europei. In pratica è l’anno in cui un manipolo di uomini palesemente al servizio del Cartello finanziario internazionale ha ceduto ogni nostra sovranità». A continuare il suo lavoro di smembramento delle aziende di Stato «ci penserà Massimo D’Alema, che nel 1999 favorirà la cessione, tra le altre, di Autostrade per l’Italia e Autogrill alla famiglia Benetton, che di fatto hanno, così, assunto il monopolio assoluto nel settore del pedaggio e della ristorazione autostradale. Una operazione che farà perdere allo Stato italiano miliardi di fatturato ogni anno». Se invece di “cartello finanziario internazionale” leggiamo “massoneria aristocratica sovranazionale” capiamo di colpo il nesso chiarissimo che tiene insieme privatizzazioni, neoliberismo e cessione di sovranità monetaria: prima con la separazione fra Tesoro e banca centrale e poi con il sistema dell’euro. Non manca il legante politico: il Trattato di Maastricht è un capolavoro neoliberista.. Cervello dell’operazione? Loro, le Ur-Lodges neoaristocratiche. «Soprattutto, appare chiaro che l’Europadei tecnocrati e dell’euro, che fu realizzata da Maastricht in poi, lontanissima dall’Europa dei popoli vagheggiata da Altiero Spinelli, era stata progettata fin dall’immediato dopoguerra (dai massoni neoaristocratici Richard Coudenhove-Kalergi e Jean Monnet) per portare al potere un’élite economico-finanziaria a danno delle democrazie europee». Il neoliberismo, sottolinea Patrizia Scanu, era un’ideologia costruita appositamente per questo fine, «cioè per travasare ricchezza dai poveri ai ricchi e asservire gli Stati alle banche private mediante il debito, secondo il più tradizionale sistema imperialista, tenendo buone le masse con la favoletta del debito pubblico, dei vincoli europei, del rapporto deficit-Pil, dell’austerity e infine dello spread». Micidiale, la “teologia” neoliberista: basata su dogmi di cartapesta, ma perfettamente funzionale al piano di restaurazione oligarchica. «Fu diffusa capillarmente finanziando università, centri di ricerche, think-tank, per soppiantare il “capitalismo dal volto umano” e dei diritti sociali che era stato delineato da Keynes e che vedeva come scopo delle politiche economiche la piena occupazione e il sostegno alla domanda interna». Mentre esalta a parole il libero mercato e lo “Stato minimo”, l’ideologia neoliberista «lavora per costruire monopoli, rendite di posizione, consorterie di privati che si arricchiscono a spese della collettività e assurdi vincoli all’espansione economica, come il pareggio di bilancio». Una sua caratteristica? «La continua confusione di pubblico e privato, con le “sliding doors” fra cariche istituzionali e incarichi privati e con i complessi conflitti di interesse». Ogni paese applica la ricetta a modo suo, ma con lo stesso risultato: «Disuguaglianze, povertà, disoccupazione, compressione dei diritti e insicurezza». Non sono “effetti collaterali” del neoliberismo, applicato alle politiche degli Stati: sono il loro vero obiettivo. «Per conseguirlo, occorre comunque la complicità dei governanti locali, che restano quindi i veri responsabili di questo scempio criminale». Una controrivoluzione inesorabile, catastrofica: il progetto è continuato anno dopo anno, con lo smantellamento pezzo a pezzo del welfare e delle tutele del lavoro, del settore pubblico, della scuola, della classe media, «per culminare con il governo Monti nel 2011 e con quel terribile tradimento bipartisan del popolo italiano (votato dal Pd di Bersani e dal centrodestra di Berlusconi, sotto lo sguardo vigile di Giorgio Napolitano massone neo 
aristocratico affiliato alla “Three Eyes”), che fu l’introduzione dell’equilibrio di bilancio (supremo dogma neoliberista) nella Costituzione, che ci condanna per sempre al dissanguamento economico, almeno finché non verrà rimosso». Fu allora che Monti (anche lui, dice Magaldi, massone affiliato a una Ur-Lodge, la “Babel Tower”) si disse soddisfatto per aver distrutto la domanda interna. L’eterno supervisore, Mario Draghi – ormai seduto sulla poltronissima della Bce – osservò che tutto stava andando per il meglio: l’inaudito piano di sequestro della sovranità nazionale dei paesi europei a beneficio delle potentissime lobby finanziarie di Bruxelles procedeva a tappe forzate. Prima mossa: dare ossigeno alle banche ma non alle aziende, per indebolire l'europa
 del Sud. Seconda: impedire agli Stati, attraverso il Fiscal Compact, di spendere a deficit per i propri cittadini, rilanciando l’occupazione. Obiettivo finale, testualmente: «Riforme strutturali per liberalizzare il settore dei beni e dei servizi e rendere il mercato del lavoro più flessibile». L’unica soluzione? Privatizzazione quel che ancora c’èra da razziare. Il declassamento dello Stato, secondo l’uomo che la Germania ha voluto alla guida della Bce, avrebbe assicurato più «equità» al sistema, aprendo spazi meno precari ai giovani attualmente privi di garanzie: per Draghi, la causa della disoccupazione non è stata la crisi mondiale della crescita, ma l’eccesso di tranquillità di chi invece il posto fisso ce l’ha (e se lo tiene stretto). Tutto da rifare: «Il modello sociale europeo è oggi superato», disse il super-banchiere di Francoforte. In una intervista al “Wall Street Journal”, l’ex dirigente strategico della Goldman Sachs gettò alle ortiche oltre mezzo secolo di “pax europea”, cresciuta al riparo del miglior sistema mondiale di welfare. D’ora in poi, ciascuno avrebbe dovuto lottare duramente, per sopravvivere, perché gli Stati – in via di smantellamento, neutralizzati con l’adozione della moneta unica da prendere in prestito a caro prezzo dalla Bce – non avrebbero più potuto garantire protezioni sociali: attraverso il Fiscal Compact, i bilanci sarebbero stati prima validati a Bruxelles e, dal 2013 in poi, nessuno Stato europeo avrebbe più potuto investire un euro per i propri cittadini, al di là della copertura del gettito fiscale. «Occorre dunque andare a fondo e guardare dietro la superficie per comprendere chi ci ha derubati della nostra ricchezza, chi ha tradito la Costituzione e ha svenduto la nostra vita e il nostro paese per arricchire un’élite spietata e immeritevole», conclude Patrizia Scanu. «Sarà la storia a giudicare questa sciagurata operazione di rapina ai danni di tutti noi, perpetrata sotto il nostro naso e sotto tutte le bandiere politiche, mentre i mass media compiacenti ci parlavano d’altro». Ora è il momento di aprire gli occhi. «O ci riprendiamo le sovranità, oppure saremo schiavi per sempre». dice la Scanu " Non ci credete? Seguite i soldi: Le incredibili concentrazioni di ricchezza che esistono adesso, ai livelli più alti del capitalismo, non si vedevano dagli anni Venti. Il flusso dei tributi verso i maggiori centri finanziari del mondo è stato stupefacente». Quello che però è ancora più stupefacente, aggiunge la  Scanu, è l’abitudine a trattare tutto questo come un semplice – e magari in qualche caso deprecabile – “effetto collaterale” della neoliberalizzazione. «La sola idea che questo aspetto possa invece costituire proprio l’elemento sostanziale a cui puntava la neoliberalizzazione fin dall’inizio – la sola idea che esista questa possibilità – appare inaccettabile». Certo, il neoliberismo «ha dato prova di molto talento presentandosi con una maschera di benevolenza, con parole altisonanti come libertà, indipendenza, scelte e diritti, nascondendo le amare realtà della restaurazione del puro e semplice potere di classe, a livello locale oltre che transnazionale, ma in particolare nei principali centri finanziari del capitalismo globale», afferma David Harvey. Ma, appunto, dire “neoliberismo” non basta, così come non bastano le espressioni élite, oligarchia- Qui ci sono anche nomi e cognomi: quelli del   supermassonico reazionario. «Leggendo il libro di Magaldi, si possono trovare i nomi di tutti i politici italiani e stranieri coinvolti nella distruzione dell'Europa. Così, chiosa Patrizia Scanu, «può esserci più chiaro quali responsabilità abbiano i rappresentanti del popolo (di destra, di centro e di sinistra) che abbiamo votato, ignari e in buona fede, per tanti anni». 

ANNIVERSARIO E MORTE DI .... IMMAGINARIO

  25 novembre e' l'anniversario della nascita   della persona, per me, piu' importante e costitutiva di tutte quelle incontrarat...