lunedì 5 dicembre 2022

IL SOGNO SUL NON C'E' PIU'

 

Un sogno davvero stratosferico per un tradizionalista conservatore con punte di vero spirito reazionario, quasi alla De Maistre, ma senza cattolicesimo, stra-innamorato del passato, financo senza limiti, “passato-per–il-passato” , indietro tutta, sempre e comunque,  e motto nobiliare nel suo stemma di Marchese di Malaffare “ Molto passato, poco presente, niente futuro”  a somiglianza e a proposito di tutte quelle signore: sognare di essere in presenza solo di atmosfere che non ci sono piu’, che si concretizzano in spazi urbani, piazze, strade, costruzioni, monumenti, financo negozi, chioschi, caffe’ , tutti incappati nella furia devastratrice del cosidetto progresso e modernita’ , che hanno senza pudore eliminato tali epifanie consegnandole irreversibilmente allo spettro del ricordo sempre ridondante di struggente melanconia e rimpianto, perlomeno negli esseri piu’ sensibili e piu’ osservanti della tradìzione . Un sogno quindi tra i vicoli e gli slarghi della spina di Borgo in Roma, la piazza Scossacavalli e Rusticucci in stretto connubio col Colonnato e Cupola di san Pietro, il che equivaleva a personalizzare con  Bernini e con Michelangelo, la strada della “ripresa dei Berberi” su verso il Campidoglio prima dell’orrore del Vittoriano, per quella sorta di “palio” che si faceva nella Roma papalina ed ancora la meravigliosa Villa Ludovisi e il cioccolato con panna del Caffe’ Latour in via Cola di Rienzo. Ma non solo Roma, tutto il mondo e’ paese, quando si tratta di tornare indietro, di rivedere quel che e’ stato , di lasciarsi ammaliare dal passato  che si porta in tutto e per tutto come la cortigiana piu’ esclusiva, quella che non si da’ a tutti, ma  non lo fa per una semplice questione di soldi, ma per quel certo non so che,  che nessuno e’ mai riuscito a decifrare cos'è
Siamo nella Parigi dei Grands Boulevards, i celeberrimi sventramenti del Barone di Haussman e siamo anche a Praga al cospetto di dove un tempo sorgeva la statua del Feldmarschall
  Radetzsky e financo su alla Collina di Letna dove troneggiava l’imponente complesso Monumentale di Stalin, tutto perduto, tutto scomparso, eppure tutto sempre ri-evocato.  Ecco proprio questo ultimo esempio del complesso monumentale de Monumento a Praga di Stalin e’ emblematico e riprendo le note di un mio precedente articolo per riassumere le complesse sensazioni correlate a questa troppo rapida consunzione di memorie storiche.  Il vincitore del complesso  nel 1949  Otakar Svec, aveva sbaragliato tutti i suoi troppo celebrativi rivali, proponendo un imponente agglomerato, un cuneo simbolico che vedeva in testa Stalin con indosso un pastrano militare e in mano un libro.
Dietro di lui, sui lati lunghi del parallelepipedo, i bassorilievi che raffiguravano - in due gruppi allegorici di quattro elementi ciascuno - il popolo sovietico e quello cecoslovacco: il soldato, l' intellettuale, l' operaio, il contadino... Una ben studiata campagna trasformerà l' impresa nel megacantiere a cielo aperto della 
costruzione del socialismo, quasi la sua rappresentazione figurata. Gli scrittori non stavano  più nella pelle e, prima ancora che i lavori vengano avviati, già vedono svettare sulla collina la statua che ancora non c' è. Scriveva  Pavel Kohout, il candido cantore di quegli anni: «Alto sopra la spalliera dei larici e dei viburni assopiti, / intessuto e sognato di marmo e di stelle, / nel so rriso nostro Stalin sorride, / sicura sentinella dei nostri lunghi cammini».
Ma a partire dalla solenne inaugurazione di quel «colossale monumento al servilismo ceco e allo stesso tempo alla sua gigantomania» (V. Cerny), avviene però un fatto straordinario: il monumento ormai completato sembra non produrre più scrittura. La relazione segreta di Krusciov al XX Congresso del PCUS del febbraio 1956 (pur recepita in ritardo) spinge i censori alla cautela, gli scrittori al silenzio. La surrealista Eva Medkova scatta al monumento una foto: la macchina fotografica è puntata su Stalin, ma è quasi attaccata al piedistallo, molto in basso. Il risultato è un fantasma irreale, la punta di una scarpa, la piega del pastrano: un' assenza. Un' assenza a cui darà corpo l' esplosione del 20 agosto 1962.  L' esplosione della statua di Stalin, incipit anticipato della Primavera di Praga, darà l' avvio a un revival del monumento che prenderà a riapparire per interposta figura, per allegoria, talvolta persino nella sua ingombrante fisicità. Ma, nel suo primo ritorno, appare solo nella propria assenza. Ciò avviene nel finale del bel cortometraggio di Pavel Juracek Una persona da appoggiare (1963). L' inquadratura si allarga mostrando in lontananza il piedistallo vuoto del monumento. La cinepresa comincia a scendere sui gradini della scalinata. Lo sfondo sonoro trasmette il tonfo ripetuto di una caduta. Quel piedistallo vuoto però inquieta. Si cerca di esorcizzarlo, immaginandoci sopra schermi da proiezione per statisti intercambiabili, o magari uno Svejk da disegno di Lada. In una vignetta uscita il 10 agosto 1968, davanti a un attonito passante un piedistallo vuoto proietta sul muro l' ombra allarmante di un oratore in piena azione: il braccio alzato, un libro stretto nell' altra mano. Aveva ragione Bohumil Hrabal: «Che le lasciassero in pace le statue di Praga...».La presenza non piu’ presente non appartiene piu’ al registro della realta’ concreta, eppure rimane reale nel pensiero di qualcuno, che riesce ad ascrivere il mancato ad un altro registro che pure a rigore fa parte dei numeri reali, quello dell’immaginario.
 Proiettando il negativo della mancanza  (-1, -2, -3….-n) ecco che il numero
si riveste di un valore aggiunto che
 ci consente comunque di fare un calcolo infinitesimale, (corde dell’infinito ∞)ovvero stabilire quando si ha il passaggio tra uno stato mentale  ad un flusso mentale  laddove il reale si carichi giustappunto di immaginario, dove anche il pensato di una mancanza tramite la proiezione, intervenga nel calcolo e nelle relative funzioni derivate (flussioni)  proprio come i diversi cammini studiati da Feynman  come possibilita’ da integrare

 

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