Federico Caffè è stato un lume per gente come me che ha sempre avuto un fortissimo senso dello Stato Etico, eh si! non sono mai stato un Hegheliano, non credo troppo alla dialettica, le vacche per me non sono tutte nere nella notte e non credo neppure che la nottola di Minerva vola solo sul fare del tramonto, quand’ero all’università mi beavo di quell’affermazione “la morte dell’Arte in Hegel” ma suvvia non ci ho mai creduto, così come non ho mai creduto all’astuzia della ragione e a quel "ciò che razionale è reale e cio’ che è reale è razionale" e poi che, insomma lo spirito della storia passasse dopo la battaglia di Jena, lì col suo cavallo bianco in uno dei più famosi “piccoli grandi uomini” proprio no. Però la concezione di uno Stato Etico , bhe quella si’ ce l’ho avuta sempre, anche se non in Hegel la ritrovo con aderenza, proprio nella teoria economica di quel John Maynard Keynes gia’ citato e di cui Federico Caffè fu uno dei più rappresentativi e intelligenti esplicatori teorici, così come un po’ Roosveelt, poi i laburisti inglesi subito dopo la guerra, Kennedy e da noi magari un Carlo Beneduce tra le due guerre, un Italo Balbo in Libia, Parri, Calamandrei, Meuccio Ruini, Mattei subito dopo il ’45, fino al ‘62 ed anche un Cesare Merzagora lo furono sotto un aspetto pratico . Ed ecco cosa diceva in quella sua famosa ultima lezione incentrata su un vecchio trombone liberista come Ferrara, ma rivolta a tutti i fautori di un regurgito di tali vecchie idee nel panorama sociale che oramai faceva seguito al quindicennio delle speranze degli anni dal 1953 al 1968 . “ogni restaurazione , reca in sé i germi dell’oltranzismo intollerante, così tornando a rivolgersi al Mercato e non allo Stato, si giunge a negare anche le conseguenze sociali di quello che è avvenuto in Italia in quel quindicennio e ci si consegna a quella reazione…” (questo mi consento di aggiungerlo io) ….” che dopo l’evento ludico dei movimenti studenteschi con tutto il loro armamentario di slogan e obiettivi sfumati e imprecisati, spaventa il padronato con il ben altrimenti serio autunno caldo del ’69, cui difatti farà subito seguito la reazione con le bombe di piazza Fontana, i cosidetti servizi deviati, la strategia della tensione e la lunga stagione degli anni di piombo” Il quadro che viene fuori del’Italia di quell’Ultima Lezione è invero di un pessimismo quasi assoluto , è una Italia attraversata da chiari e insinuanti inviti “ad arricchirsi”, ad anteporre il proprio tornaconto a qualsiasi valore o ideale, è insomma, come mi compiaccio di dire spesso io : “ un’epoca in cui una comunità non è in grado di scambiarsi più valori, ma ne rimane uno solo imperante: il valore di scambio. Si dirà come mai tutte questi riferimenti e questo attaccamento ad una figura, sia pure illustrissima, sia pur illuminante, di un personaggio scomparso dalla scena ben trentatrè anni fa e all'epoca della sua misteriosa scomparsa già considerata, a fronte del montante neo liberismo e sempre più imperante consumismo, la proverbiale voce che grida nel deserto ?????? Bhe la risposta forse è da darsi nella attuale contingenza di cattività che stiamo vivendo, dove la paura di un qualcosa la cui derivata è ben lungi dall'essere circostanziate nella sua complessità dove ovviamente gioca quell'immaginario che si pasce di proiezione di negativi (mancanza, debito, tutto quello che puoi trovarci, anche uno stato di salute in presunto pericolo) può facilmente essere indotto su base virtuale, dove non si presenta neppure la necessità di un riscontro e dove tramite mass media compiacenti, classi di lacchè pronti a compiacere il potere, si mantiene l'unica invariante della paura pe tenere a bada la collettività : Un qualcosa che solo scrittori di una certa levatura: Orwell, Huxley, Vacca, Breadbury avevano perfettamente, anche se all'apparenza fantascientificamente, individuato.Scrittori, romanzieri, si !!!!e in aggiunta , perchè no? anche un serissimo, riservatissimo studioso di economia,che come aveva fatto mezzo secolo prima, un brillantissimo fisico della cerchia dei "Ragazzi di via Panisperna" di Fermi Ettore Majorana, aveva preferito scomparire piuttosto di assistere all'inverarsi dei suoi più cupi pensieri .
C'è un libro su Caffè di Ermanno Rea che si chiama “L’ULTIMA LEZIONE “e guarda un po’ di chi si va a occupare Caffè????: di un economista dell’ottocento Francesco Ferrara, un fanatico del Liberismo che giusto giusto io nel ’67 quando avevo cominciato ad occuparmi di economia avevo preso un libro della Laterza dicendomi “ma quello che dice questo qui è una cialtronata!” Primo elemento di sincronicità : l’ultima lezione di Caffè va a riguardare un personaggio che rappresenta il peggio che abbia io mai concepito per l’economia come teoria, ma anche come prassi , quel “laissez faire” che anche allora che ero sui 18 anni aborrivo, pur non essendo comunista o marxista che sia , in verità avrei scoperto di lì a poco il mio mentore economico in quel Jhon Maynard Keynes, che giust’appunto Federico Caffè doveva illustrarmi e rendermi assimilabile, come “retoricume liberista” Non eravamo ancora in quei primi anni settanta nel regurgito neoliberista di cui il nostro Paese doveva farne una nuova cultura economica giusto giusto ai tempi della ultima lezione di Caffè nel 1984 e probabilmente a motivo della sua scomparsa tre anni dopo . Domanda che si fa Rea, e che ovviamente mi faccio anche io “ma come mai per la sua ultima lezione Caffè si va ad occupare di questo antidiluviano economista prototipo dei vari Vilfredo Preto, Maffeo Pantaleoni, Luigi Einaudi fino ad arrivare ai vari nipotini di Reagan, che era appunto al potere nel periodo sia di quell’ultima lezione che della scomparsa di Caffè e che prolifereranno soprattutto dopo la fine del mondo comunista e stabiliranno una sorta di simbiosi tra le peggiori soluzioni del liberismo imperante (una per tutte le infami privatizzazioni che poi furono il prodromo anche della realizzazione più infame di tutte : l’Unione Europea ). La verità è che, come giustamente osserva Rea, Ferrara, in Caffè, diviene una sorta di pretesto, per illustrare tutti i limiti, tutte le mancanze anche storiche di una concezione, il liberismo appunto che da sempre era stata nemica di qualsivoglia spirito di Stato a salvaguardia del lavoro dell’occupazione e della giustizia sociale e questo in quel 1984 rivolgendosi a tutti quei figuri di un montante e ringalluzzito liberismo (tra i nipotini di Reagan non sarà difficile trovarvi la totalità dei politici del nostro Paese, specie dopo che il capitalismo rimane l’unico detentore del potere politico e economico).
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