lunedì 29 gennaio 2024

FREUD COME GIROLIMONI?

 

FORT-DA… a mio modesto periodo sono queste due paroline che ascrivono il pensiero di Freud  in una accezione davvero  diverso, direi addirittura antitetico a quello dei primi  venti anni di professione e anche costruzione culturale. Due paroline che sono quelle balbettate da un bimbo, ma che Freud portera' a livelli stratosferici di comprensione, una comprensione che si fara' idea e quindi una vera e propria teoria, appunto iniziata con il trasferimento di quelle paroline in un contesto arditissimo che sara' esplicato  un saggetto del 1921 titolato “AL DI LA’ DEL PRINCIPIO DEL PIACERE.
L’esortazione di Lacan “leggere
 e rileggersi Freud”, va non solo presa alla lettera, ma se possibile integrata con qualche appuntino, magari per tentare di dire qualcosa fuori dal coro  o per puntualizzare qualche passaggio.  “Freudianamente”  dunque! ma quale Freud? Quello canonico, a volte caricaturale, che lo fa apparire come un fissato col sesso, uno che ogni  obelisco, ogni guglia equipara all’organo sessuale maschile e ogni cavità, ogni rientranza, ogni fessura, a quello femminile? Per intenderci il Freud della teoria della Libido, il “panta-sesso”? Oppure quest’altro Freud di cui andiamo a fare la conoscenza  tramite un breve ma intensissimo saggio e due paroline /chiave, come indicato nel titolo. Il cosidetto immaginario collettivo, e per immaginario collettivo si intende anche una certa opinione generalizzata, un qualcosa che spesso e volentieri si avvale di impressioni violente, ma che a buon bisogno non sono state mai più aggiornate, tipo ad esempio il Girolimoni del mostro di Roma, che forse proprio il film di
Damiano Damiani con Manfredi ha avuto il gra
nde merito di  cambiare la diceria diffusissima a Roma di indicare con tale nome tutti quelli che mostravano interesse verso ragazzini o ragazzine: Nel film citato difatti si rende finalmente e forse per la prima volta, che si trattava invece di un marchiano abbaglio fomentato dallo stesso Mussolini che su quel nome, su  quel termine “giro”ci aveva intessuto un qualcosa di perverso e quindi era bastato per il canonico “sbatti il mostro in prima pagina” senza che poi, una volta appurato che il signor Gino Girolimoni era platealmente estraneo ad ogni implicazione con gli efferati delitti,  si avesse il coraggio di ammettere l’errore. Si è citato un film, un semplice banale film, sufficiente per mutare una opinione sclerotizzata e inesatta, ma per quel che mi risulta, su Freud non c’è stato nessun film, nessuna precisazione di facile presa, e quindi di grande diffusione, che abbia avvertito l’opinione pubblica che quell’immaginario collettivo sulla figura e sul pensiero di Freud andava aggiornato, e aggiornato mica a ieri o l’altro ieri, macchè!!!! addirittura a subito dopo la fine della 1^ guerra mondiale, quando proprio sull’effetto dei traumi e dell’impatto di un simile evento, Freud aveva scritto quel  saggio ove anche dal titolo si capisce che intendeva liquidare la teoria della Libido, fondata sul principio dl piacere. Va subito detto che le conclusioni sconvolgenti cui questo breve libello perviene sono di una portata così enorme, che nella stessa psicoanalisi ben pochi furono quelli che ne accettarono le conclusioni.  
Si ipotizzava infatti, proprio dalla esamina dei cosidetti “shock da granata”, cui tutti i reduci in qualche modo soffrivano, un meccanismo psichico particolarissimo la cosidetta “coazione a ripetere”  che portava detti reduci non a dimenticare ciò che aveva loro arrecato disagio e sofferenza, come il principio del piacere avrebbe imposto (“l’uomo fugge il dispiacere e cerca sempre il piacere”, aveva sentenziato lo stesso Freud), ma al contrario a ricordarlo ossessivamente, sia consciamente, raccontando mille, milioni di volte l’episodio traumatico, come tutti noi abbiamo avuto modo di verificare se abbiamo avuto modo di frequentare dei reduci di guerra, sia inconsciamente, nei sogni, nelle fantasie. Di tale coazione a ripetere, anche e soprattutto la sofferenza, Freud in quanto medico aveva avuto modo di  appurare durante tutto il lungo periodo della guerra e questo lo aveva portato a cominciare a mettere in serio dubbio le sue certezze sul principio del piacere, fino ad essere spettatore, oramai a guerra finita, di un episodio di una banalità quasi disarmante : in visita ad un suo nipotino, aveva visto che questi si entusiasmava in maniera esaltante, gettando un rocchetto oltre la spalliera di un divano sicchè non fosse più visibile e a quel punto si produceva  in lamenti accorati, che cessavano solo quando attraverso il filo dello stesso rocchetto lo ritraeva di nuovo a sé, producendo a stretta correlazione  con  le  diverse fasi delle azioni, opportune vocalizzazioni  precedute da un “Oooohhh”:  la prima “Fort” che andava inteso come“ va via” e la seconda  “Da” che invece significava “rieccolo”. Beh ! ragazzi… sono certo che nessuno di noi avrebbe cambiato lo stesso modo di intendere il mondo da una banalità simile, cui a buon bisogno avremo  anche assistito  tantissime volte, ma nessuno di noi si chiama Sigmund Freud!  Solo Freud  difatti, da quel giochetto apparentemente banale doveva arrivare a dedurre che il bimbo, lanciando il rocchetto lontano da sé, simboleggiava  la perdita della madre e, ritraendolo poi attraverso il filo dello stesso rocchetto  di nuovo a sé, ne rappresentava il ritorno.  Piacere e dispiacere intessuti insieme, non contrastanti, ma un tutt’uno, quindi come  logica conseguenza: profonda revisione di tutta la sua precedente teoria della libido fondata sul principio del piacere e individuazione proprio attraverso il meccanismo della coazione a ripetere, di un principio non solo contrastante con il piacere, ma addirittura composito e anzi più potente, che però a questo punto non poteva essere denominato tout court di dispiacere, ma di un qualcosa di molto più profondo e di arcaico, che  Freud individuò in una “pulsione di morte” Ovvero proprio in virtù della coazione a ripetere, l’uomo come tutte le cose del creato, tende a voler tornare da dove è venuto, ovvero dal nulla. Per dare maggior corpo a tale teoria Freud trovò correlati col 2° principio della termodinamica  (in un sistema chiuso tutte le forze tendono allo stato di quiete) e col fatto che ogni nascita comporta la rottura di uno stato di quiete, quiete che il sistema “turbato” tenderà a ristabilire;  la famosa legge dell’entropia, ovvero l’aumento del disordine che potrebbe benissimo venir equiparato alla vita stessa e quindi alla forza che lo anima “Eros”  mentre lo stato di quiete cui si tende a ritornare avrà il suo fine nella forza, non-forza,  che solo apparentemente è antitetica “Thanatos” una eterna insopprimibile pulsione di morte.  Come fatto cenno, questa teoria, sconvolgente fino alla vertigine  non solo non è stata mai accreditata nell’immaginario collettivo e generale, ma gli stessi addetti ai lavori, e cioè gli psicoanalisti, fatte salve poche eccezioni (Ferenczi, Melanie Klein, Lacan, Fagioli) l’hanno profondamente avversata, questo soprattutto perché con l’introduzione di una pulsione di morte, per ammissione dello stesso Freud (Analisi terminabile e interminabile)  viene meno ogni illusione terapeutica, proprio per l’individuazione nella psiche di un nucleo patogeno fisso, qualcosa che non è possibile mai scaricare  per intero, che continua a ripetersi sempre identico a se stesso al di la’ di ogni teleologia vitalistica.
Va notato che al di là dei luoghi comuni su Freud, che lo ritraggono ancora come un pantasessista, legato solo al piacere, dal 1920 anno della pubblicazione di Al di là del principio del piacere, fino alla sua morte nel 1939,
  e quindi per un periodo equivalente a quello in cui aveva diffuso la sua teoria della Libido, mai e poi mai Freud ha messo in discussione la sua teoria della pulsione di morte, sancendo in tal modo l’inguaribilità del disagio psichico e  l’inutilità della terapia. Sarebbe pertanto il momento di confrontarci, anche a livello di opinione pubblica con questi secondi vent’anni della sua vita, ricchi peraltro di saggi e teorie, non certo meno profondi  di quelli dei primi,  facendo leva su di un pensiero e su una teoria  che sono  l’esatto contrario di quelli del precedente  periodo

 

giovedì 18 gennaio 2024

IL CAMMINO DELLA DECADENZA

Quando comincia la vera decadenza? Ha ragione Guenon che correlandosi agli Yuga indiani ovvero i cicli in cui tale cultura suddivide la storia umana, da‘ gia’ una durata di 6000 anni all’ultimo ciclo quello che grosso modo corrisponderebbe all’eta’ dei Servi o del ferro , nominata da Esiodo nel suo Opere e Giorni? -  oppure e’ piu’ abbordabile Evola che fa capire che per lui l’ultimo ciclo quello appunto dei Servi forse non e’ ancora cominciato e ci troviamo nel momento attuale (per lui ancora il pieno del XX secolo) in una estrema manifestazione dell’Eta’ dei mercanti, ovvero quella eta’ del bronzo contrassegnata dal prevalere del fattore economico e dalla importanza centrale assunta dal denaro? (probabilmente se Evola fosse vissuto un altro cinquantennio e avesse potuto assistere a quello che e’ accaduto con il secondo decennio del XXI secolo – falsa pandemia, terrore sanitario generalizzato, bottegai e loro servi egemoni delle sorti del mondo – avrebbe senz’altro scandito l’inizio di tale ultima eta’, di totale decadenza e prevalenza del fattore servile, magari anche riprendendo la famosa equazione di Hegel del padrone e del servo come dialettica della storia. E' un argomento che ho piu' volte affrontato parlando si di Hegel, ma soprattutto dell'interpretazione che un pensatore russo Alexandre Kojeve' ha dato alla sua opera in particolare alla  "fenomenologia dello spirito " prospettando

una sorta di concetto di di «allineare le province», estendere cioè i principi dello Stato liberale o comunista che sia, questo perché l’obiettivo della lotta per il riconoscimento è raggiungere un equilibrio fra morte e vita. Equilibrio inquieto, che si realizza con la formazione delle due figure di signore e servo. Il primo è la coscienza disposta a rischiare la propria vita. Il secondo, avvinto dalla paura per la morte, cede la propria libertà, rifiuta di mettere a repentaglio la propria via, abbandona il proprio desiderio di desiderare, accetta di cedere al signore, riconoscendogli il titolo, o il diritto, di pretendere il soddisfacimento dei propri bisogni pur di riuscire a soddisfare minimamente i propri di bisogni. Detto altrimenti, allo stato nascente, l’uomo non è mai semplicemente uomo. Sempre, necessariamente ed essenzialmente, egli è o Signore o Servo. Se la realtà umana non può generarsi se non come realtà sociale, la società non è umana – almeno alla sua origine – se non a condizione di implicare un elemento di Signoria e un elemento di Servitù, esistenze “autonome” ed esistenze “dipendenti” Quest’equilibro inquieto che è la lotta per il riconoscimento è, secondo Kojève, il motore della storia. Il desiderio di poter desiderare e il desiderio di farsi desiderare innescano e contraddistinguono il rapporto sociale. Se non c’è desiderio non c’è azione; se non c’è azione non c’è rapporto sociale; senza scelte diverse e asimmetriche da parte delle due autocoscienze implicate non c’è conflitto. Questo conflitto è alla base della nascita della storia umana. Rinunciando a rischiare la propria vita, il servo vota la sua esistenza alle dipendenze di un signore perché accetta di accontentarsi del soddisfacimento dei propri bisogni primari; accetta di barattare, per così dire, la propria libertà con la propria sopravvivenza. Al contempo, il signore, per conservare la sua autonomia, non può uccidere l’esistenza che gli si è volontariamente asservita, ma facendo leva sulla paura della morte, induce e costringe il servo a lavorare. Il lavoro nasce perciò da un atto di violenza perpetrato dal signore sul servo e consente al primo di mantenere costantemente vivo il mezzo attraverso cui avviene il suo riconoscimento. Tuttavia – questo è il momento cruciale, che segna un punto a favore dell’interpretazione di Kojève – nel lavoro il servo non fa altro che agire sulla natura, trasformare l’oggetto naturale in un manufatto che gli consente di guadagnare l’appagamento dei propri bisogni primari, e di assicurargli quindi la vita animale. Trasformare la cosa naturale in prodotto di un lavoro significa però rendere umana la natura. Hegel afferma che la coscienza servile sopprime il suo attaccamento all’esistenza naturale in tutti i suoi elementi particolari e isolati, sino a eliminare mediante il lavoro quest’esistenza: e lavorando, il Servo diventa signore della Natura. Ora, egli è diventato il servo del Signore solo perché – all’inizio – era servo della Natura, visto che solidarizzava con essa e si subordinava alle sue leggi accettando l’istinto di conservazione. Liberando il Servo dalla Natura, il lavoro lo libera dunque anche da se stesso, dalla natura di Servo: lo libera dal Signore. Nel Mondo naturale, dato, bruto, il Servo è schiavo del Signore. Nel mondo tecnico, trasformato dal suo lavoro, egli regna – o, almeno, regnerà un giorno – da Signore assoluto. È questa Signoria che nasce dal lavoro, dalla trasformazione progressiva del mondo dato e dell’uomo dato in questo Mondo, sarà tutt’altra cosa dalla Signoria “immediata” del Signore. Dunque, l’avvenire e la Storia non appartengono al Signore guerriero (nella fattispecie del nostro ragionamento che segue questa suddivisione in varie eta' del mondo, non all'argento, ma al bronzo e in ultima analisi al ferro vanno assimilati gli ultimi secoli di non piu' evoluzione, ma vera e propria decadenza), il signore che fondava la sua stessa identita' sull'essere guerriero o muore o si mantiene indefinitamente nell’identità con se stesso, ma la palla del cammino (integrale) passa non solo al mercante bottegaio, ma al Servo lavoratore. Se l’angoscia della morte, incarnata per il Servo nella persona del Signore guerriero, è la condizione sine qua non del progresso storico, è unicamente il lavoro del Servo che lo realizza e lo perfeziona il motore di questa storia, non-storia Ma Hegel a nostra opinione era uno che non aveva capito nulla ne’ della storia, ne’ dello spirito, a cui pure spesso aveva dedicato il suoi scritti, e così tutti i suoi seguaci a cominciare da Marx, Evola al contrario e’ un filosofo vero, uno di quelli il cui pensiero scorre lontano e questo non solo in avanti, ma soprattutto indietro, e’ cioe’ un filosofo al “futuro anteriore” ovvero uno che non si accontenta del generico “sara' ” ma prima di formulare un qualsiasi piano per l’avvenire riesamina punto per punto tutta la tradizione le esperienze di uno “stato” ovvero un participio passato ove il tutto viene rivisitato come possibilita’.
Non si tratta piu’ di trarre flussioni o derivate da un calcolo che si configura come infinitesimale con uso di numeri sia reali che immaginari, ma piuttosto di integrare queste in una prospettiva futura, comporre cioe’ un integrale, un integrale sui cammini, del tutto simile a quello ideato da Feynman nel 1948 e che dia adito ad una possibilita' di effettuare un diverso percorso . 
Quindi se ora, lasciando Kojeve' e lasciando sopratutto Hegel e pensatori del tutto inconsistenti come Marx, Darwin, torniamo al nostro Evola, si fa ritorno giocoforza a questa prospettiva di alternativita' al mondo come lo abbiamo studiato, come lo abbiamo conosciuto e purtroppo come lo abbiamo vissuto e forse4 c'è anche la possibilita' di invertire il percorso della decadenza, anzi fare proprio come se bottegai , denaro, valore di scambio non fossero mai vestiti e così la stessa logica di quell'essere servo o padrone non abbia piu' senso  

EVOLA E IL RINASCIMENTO

 

E' piu' che scontato  che la storia e' tutta una grande farsa con tanto di copione di messa in scena, e non e' che la cosa sia un fatto recente;  è perlomeno dal 1348 con l'occasione di forse la prima grande pandemia dell'occidente che continua questa farsa che ha forse avuto,  nei tempi odierni, in questo secondo ventennio del terzo millennio, la sua manifestazione piu' eclatante e piu' preoccupante:  le revisioni della nostra storia si rendono quindi assolutamente necessarie se vogliamo uscire dall'attuale dittatura ideologica fondata sulla menzogna e anche su tutti quegli pseudo punti di vista fino ad ieri prevalenti che possono ed anzi debbono presentare un carattere decisamente iconoclastico. E' di grande aiuto tornare al pensiero di uno studioso realmente libero e originale quale solo un pensatore di "destra" puo' essere:  ecco come Julius Evola che affronta proprio il concetto di evoluzione secondo il suo reale andamento che e' stato di involuzione e decadimento: Giustappunto una delle prime revisione affrontate da Evola fu quella del cosiddetto Rinascimento. 

Il Rinascimento viene correntemente considerato come una delle massime glorie della storia italiana. Forse non è stato il Rinascimento, più che una antichità troppo remota, a conferire all’Italia la dignità di madre delle lettere e delle arti? Certo: ma altrettanto vero è che alla “tradizione” del Rinascimento si deve il fatto, che l’Italia considerata sì come un meraviglioso paese delle lettere, e dell'arte abbia anche goduto di una pessima fama dal punto di vista sociale e politico. In problemi del genere bisogna del resto partire da una questione di principio. E tale questione si riferisce al significato che lettere ed arti hanno, in genere, nell`insieme di ogni civiltà da dirsi “normale”. In ogni civiltà “normale” il centro non può cadere nelle lettere e nelle arti: esso cade invece nei valori ascetici ed eroici, in una salda severa formazione della vita aliena da “espressionismi”, nella quale i principii superindividuali, le opere e le azioni stanno al disopra della “genialità” e della soggettività del singolo. Non è detto che in sensibilizzazione intuitiva ai principii generali – in sé stessi superiori al mondo delle arti e della “creatività” – che stanno al centro di una determinata civiltà. Ora, proprio l’opposto si è verificato nella civiltà del Rinascimento. In essa si è avuta una vera e propria orgia della soggettività “mediterranea” liberata da ogni vincolo, un pullulare tropicale di “creazioni” di ogni genere prive, in fondo, di ogni nesso unitario, non obbedienti ad un significato superiore, staccate da ogni forza formatrice politica o spirituale unitaria. Perciò, malgrado il suo splendore esteriore, la civiltà umanistica della Rinascenza rappresenta, da un punto di vista superiore, una caduta di livello, lo spezzarsi delle fila di una più seria e più profonda tradizione.

Essa fu la controparte culturale e artistica di quell’individualismo disordinato, che si espresse politicamente nello stile delle Signorie e nelle eterne liti delle città italiane e dei loro condottieri. Essa contenne i germi, che dovevano dare a conoscere la loro vera natura nell’ illuminismo, nel razionalismo, nel naturalismo e in altri fenomeni della decadenza moderna. Infatti non è un caso che il Rinascimento goda di una predilezione non solo in ambienti letterari “neutri”, ma anche in ambienti massonici. Ancor parlando della famigerata Società delle Nazioni, in un congresso massonico internazionale, nel 1917, a Parigi, si celebrò “la rivolta, di cui l’umanismo della Rinascenza e la filosofia della grande rivoluzione francese sono le fasi salienti, più note e più prossime, e di cui lo spirito massonico esprime la stessa anima”. Il miraggio delle meravigliose creazioni del Rinascimento non deve in realtà far dimenticare il significato profondo relativo al fatto che la sua contemporaneità appunto con l’umanismo, col naturalismo e con la stessa Riforma, né deve far perder di vista la precisa funzione polemica e dialettica che tutti questi fenomeni, nel loro insieme e nella loro sinergia, ebbero di fronte alla precedente civiltà medievale. Chi non conosce la retorica della “affermazione della vita”, della “riscoperta della sacralità del corpo e della bellezza”, del superamento del “despotismo teologale e politico” e di tante altre espressioni di colorito fra l’immanentismo e il massonico che sono state applicate alla civiltà e al pensiero della Rinascenza? E lo stesso termine “Rinascenza” non svela già di per sé stesso l’istanza polemica, rivoluzionaria e antitradizionale ora accennata? Si rinasce da una morte o da un sogno: e ciò sarebbe stato il Medioevo imperiale, ghibellino, feudale e dantesco; il Medioevo, che noi possiamo senz’altro chiamare ario e romano-germanico e che come tale, per noi, fu esso la vera Rinascenza. Là dove forze prima contenute rigidamente in una unità per via di una tensione superiore passano di nuovo allo stato libero, si può aver la sensazione ingannevole di una maggiore vitalità, di un dinamismo, di un risveglio. invece non si tratta che di dissoluzione e di dispersione centrifuga. Questo è il vero senso del Rinascimento. Non è che in esso si manifestasse una vita nuova e giovane: al contrario tutte le sue creazioni non si spiegano che sulla base della lesione della tensione metafisica e politica del precedente mondo imperiale e medievale: esse rientrano nella via di colui che – per usare l’espressione di Guénon – si e distaccato dai cieli con la scusa di conquistare la terra e, possiamo aggiungere noi, di scoprire l’“uomo”. A chi abbia un senso della “terza dimensione della storia” su tale base si rendono comprensibili altri fenomeni connessi all’epoca del Rinascimento; come per es. l’intero ciclo delle “scoperte” e lo slancio dell’Europa verso le avventure e le conquiste transoceaniche. Quel potenziale, che prima si concentrava sulla direzione verticale, che trovava cioè il suo oggetto adeguato in valori trascendenti, nel punto in cui perdette contatto con tale punto di riferimento, si scaricò, per dir così, sulla direzione orizzontale, cioè nel dominio umanistico, fisico, naturalistico, particolaristico: da qui uno slancio senza precedenti, da qui l’orgia delle arti, delle lettere, del “pensiero”, della “libera soggettività”; da qui la espansione illimitata verso mari e terre sconosciute: ma, soprattutto, come conseguenza, da qui una fondamentale irrequietezza ed instabilità, una insoddisfazione che nulla varrà più a placare, quell’impulso, che Spengler dirà “faustiano” e che, a parte tutti gli orpelli intellettualistici, tradisce solo un male simile a quello del morso della tarantola.
Non si può infatti placare con oggetti di questa terra un impulso cui poteva esser solo adeguata una realtà trascendente e l’approssimazione temporale ad essa, cioè l’Impero. Nel punto in cui l'uomo occidentale tradì la sua più alta vocazione, si è creato in sé stesso, nell’inquietezza e nell’insoddisfazione già indicata, la pena per questo tradimento.
Da un altro punto di vista, col Rinascimento va a prender definitivamente il sopravvento una componente razziale “mediterranea”, individualistica, insofferente di ogni superiore principio di ordine, che già nel Medioevo era stata un focolare perpetuo di anarchia e di divisione, resistendo ad oltranza alla renovatio romani imperii, al tentativo romano-germanico di formare l’Occidente cristiano secondo una superiore unità gerarchica e virile. Là dove nella civiltà dell`alto ghibellinismo, nell’etica feudale dell’onore e della fedeltà, nell’ideale umano dei grandi ordini Cavallereschi, nel simbolo ascetico-guerriero del crociato e così via tornarono ad imperare, in Occidente, vene della razza “solare” dell’uomo ario, ario-romano e nordico-ario, nella civiltà del Rinascimento venne invece al primo piano la razza obliqua dell’uomo “afroditico” e prometeico.
Uomo afroditico è, in termini di razza dello spirito  colui che ha per estremo orizzonte l’esistenza materiale, come oggetto di un godimento fra l’estetico e il sensuale e di un estremo raffinamento. E' l’uomo afroditico che dette il tono alla vita spicciola dell’epoca della Rinascenza, legata al godimento della bellezza e all’ebbrezza del momento.
Chi non ricorda la poesia che sottolinea la caducità dell’esistenza e conclude con le parole: «chi vuol esser lieto, sia – di doman non v`è certezza»? Questa è la controparte pratica della “grande parata” dei creatori di quel periodo: è l’antitesi di quel senso dell’eterno e di quella volontà dell’eterno, che caratterizzò l’alto Medioevo. Qui deve anche esser chiarito l’equivoco di coloro che pensano davvero che la Rinascenza sia stata una ripresa dell’antichità classica e “pagana”: ciò che fu ripreso, effettivamente, furono solo gli aspetti negativi, già decadenti e “afroditici”, esterioristici e razzialmente sospetti della civiltà antica, non quelli originari, eroici, sacrali, tradizionali, davvero ariani. Non Sparta e non il simbolo dorico, ma Atene e Corinto. Non la Roma sacrale e catoniana, ma la Roma ellenizzata e soprattutto il crepuscolo dell’antichità: il mondo ellenistico-alessandrino. In più, nella Rinascenza mancavano i presupposti per poter cogliere e discriminare quel che di valido, malgrado tutto, poteva sussistere perfino in questa parte del mondo antico Oltre che di un uomo “afroditico”, abbiamo parlato di un uomo prometeico. Ad esso si riferisce propriamente l’umanesimo della Rinascenza. Contro quel si è or ora detto, qualcuno, a testimoniare la ripresa di elementi spirituali e perfino iniziatici del mondo antico da parte della Rinascenza, potrà citare nomi, come quelli di Bruno, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola. La funzionalità di simili elementi nella Rinascenza, peraltro, si connette proprio a quanto di più oscuro ha agito in una tale epoca. Noi abbiamo infatti un vero e proprio processo di inversione consistente nel materializzare lo spirituale per divinificare la materia, Dio divenendo l’uomo e l’uomo divenendo Dio. Questo, in fondo, è il senso ultimo dell’Umanesimo. Questo è l’oscuro mistero che fu celebrato in sette e in gruppi occulti, i quali dovevano continuarsi proprio nella massoneria e qui tradurre senz’altro in termini di una azione sovvertitrice politica metodica e cosciente la “tradizione” da essi ricevuta. Si ricordi che la stella dei Soviet, simbolo dell’uomo collettivizzato e materializzato onnipotente e senza Dio, è il pentagramma, un simbolo magico che proprio nei gruppi “iniziatici”, dei quali non pochi esponenti della Rinascenza subirono direttamente o indirettamente l’influsso, ebbe una parte speciale: simbolo, che però in origine significava tutt’altro, la sovranità dell’uomo come essere sovrannaturale. È un segno, tra i tanti, della inversione propria all’“umanismo”, culto terrestre dell’uomo divinificato. Bisogna rendersi dunque conto che la sovversione combattuta oggi nelle sue forme estreme dalle nostre rivoluzioni restauratrici, ha avuto i primi giorni nella Rinascenza, secondo le intime connessioni di essa con l’umanesimo, la riforma e il naturalismo. Intendiamoci. Non siamo partiti dal punto di vista artistico, quindi il valore che nel dominio tecnico delle arti hanno la creazione della Rinascenza resta del tutto impregiudicato. A chi esplora la “terza dimensione” della storia, ciò non impedisce tuttavia di riconoscere, che lo splendore apparente, l’opulenza e la genialità di simili creazioni sono valse, un po’, come le cortine di fumo che in una guerra moderna talvolta si usano per coprire una avanzata. E l’avanzata è stata di forze, nelle quali chi oggi si sente compenetrato da una nuova serietà, da una nuova volontà di formazione ario-romana tradizionale e virile del carattere e della vita difficilmente saprebbe riconoscersi.

venerdì 12 gennaio 2024

L'ORIGINE DI DESTRA E SINISTRA

Oggi che la storica distinzione tra sinistra e destra sembra essersi risolta in un liquame di indifferenza e disgusto  del tutto simile alla piu' parte delle cose del mondo, sembra davvero fuori senso parlare appunto di destra e sinistra e forse conviene andare ad indagare da dove questa differenza promana. Manco a dirlo siamo in piena Rivoluzione francese quindi un qualcosa di pochissimo spontaneo e popolare come hanno voluto per secoli farci credere, ma piuttosto una macchinazione dei soliti noti bottegai un po' a misto di estrazione anglosassone ed ebraica  che da quattrocento anni andavano tessendo le fila di un potere assoluto del denaro, del commercio, dei mercati e quindi  dell'elemento liquido, senza territorialita' e senza  confini, come il mare,  secondo le giustissime osservazioni di geo politica di Carl Schmitt -  bottegai dei quali c'e' da fare una importante precisazione:  dalla prima meta' di quello stesso XVIII secolo questi che si erano  concentrati nel Paese piu' marino e quindi piu' pro commercio di tutti:  l'inghilterra, dopo qualche secolo di affermazioni  erano andati a costituire una vera e propria setta, scimmiottando i rituali della antica Libera Muratoria che risaliva ad Hiram il costruttore del Tempio di Salomone a  Gerusalemme e che avevano denominato Massoneria. In realta' la Massoneria aveva con la Libera Muratoria di
Hiram, un riferimento di specifico edile, legato solo alla simbologia esterna (il compasso, la livella e qualche rituale di maniera, tipo l'uccisione del Gran Maestro da parte di allievi cjùhe volevano impadronirsi dei suoi segreti ) perseguendo invece  i temi del denaro, del profitto, del commercio , dei mercati e dell'annullamento di tutti i valori che nelle antiche comunita' si scambiavano per instaurarne uno solo : il valore di scambio.  La distinzione tra Destra e sinistra  origina ancor prima dell'evento simbolo  della Rivoluzione Francese : la Presa della Bastiglia del 14 luglio:  per l'esattezza al 20 giugno 1789, quando i membri dell’Assemblea Nazionale (nata tre giorni prima) trovarono chiusa la solita sala riunioni del Palazzo di Versailles. Fu deciso allora di effettuare le riunioni i in un’altra sala, di solito dedicata al gioco della pallacorda, da cui il famoso Giuramento della pallacorda , che sanciva solennemente che mai si sarebbe sciolta l’assemblea prima di aver scritto una nuova Costituzione. 

 E' appunto in questo contesto che nascono la destra e la sinistra.
 Sin dalle prime riunioni, infatti, si schieravano alla destra del Presidente i membri dell’Assemblea con posizioni più moderate, più inclini al compromesso e alla trasformazione graduale del vecchio ordine; nella parte sinistra, invece, sedevano i membri più rivoluzionari; al centro quelli con posizioni intermedie. Pur nelle numerose declinazioni che le parole “destra” e “sinistra” hanno assunto da allora, l’idea che la prima fosse più tradizionalista e la seconda più favorevole al cambiamento sociale ha costituito una costante della vita politica sociale e non soltanto politica andando a caratterizzare un modus vivendi sia individuale che collettivo  Nel corso dell”800, con la graduale diffusione del parlamentarismo, destra e sinistra sono difatti diventate parole comuni nel lessico politico e non politico.  I due campi si delinearono meglio a cavallo tra 800 e 900, con l’estensione del suffragio e la nascita dei partiti popolari e in particolare di quelli socialisti  poi comunisti (o il laburista nel Regno Unito), che diventarono gradualmente la nuova “sinistra” in opposizione alla destra liberale e conservatrice, mentre i partiti “popolari” (di ispirazione cattolica) si posizionano al centro. Come ho fatto cenno, la attribuzione di destra o sinistra caratterizzava un certo tipo di atteggiamento e pensiero che solo approssimativamente rispecchiava la distribuzione politica di questo o quel Parlamento ; se cio' non era vero nel contesto della Rivoluzione Francese nella ben nota opposizione tra girondini e giacobini, e' pur vero che in ispecie nel nostro Paese quella contrapposizione si fece, quasi da subito,  assai sfumata : alla destra cosidetta storica dei primi anni del Regno e che detenne il potere per un quindicennio appartenevano personaggi perlopiu' conservatori, ma severi e spesso, in genere salvo poche eccezioni molto mediocri anche se pur sempre piu' preparati ed efficaci dei  dei colleghi della Sinistra, che rimasero famosi per il loro pressappochismo, incompetenza:   penso rispettivamente ad un Ricasoli, ad un Sella, ad un Lanza e di converso all'arruffonismo di un Cairoli, al celeberrimo trasformismo di un Depretris e soprattutto a quel vero e proprio cesarismo in deteriore di un Crispi (Scandalo Banca Romana, Fasci Siciliani, guerra d'Africa)  che era stato il piu' virulento facinoroso dei deputati della sinistra. 
Stessa parabola per un Mussolini, fino all'attuale indistinzione che pero' ha oramai solo un carattere politico e per di piu' con continui cambiamenti di bandiera, per non menzionare il fattore economico che dovrebbe incidere in maniera rilevante nella formazione di un pensiero e di una prassi di intervento sociale e che invece si e' ridotto ad essere una semplice etichetta di rappresentazione di certe elites di potere commerciali e di consumismo, quando non di puro mercimonio.  Eppure la distinzione tra Destra e sinistra a parte le oramai sfocatissime sfumature storiche e la totale inesistenza di fattori di scelte economiche  (assistiamo oggi a personaggi cosidetti di sinistra che inneggiano a soluzioni di neo liberismo, tipo privatizzazioni e imposizioni forzate, sindacalisti da burletta come Landini che seguono docilmente un gran comis di banche e gruppi finanziari internazionali come Draghi .... e questo non e' da addurre alla solita lamentela di "laudator acta temporis"ma ad un vero e proprio orientamento
generale, probabilmente enfatizzato dall'abnorme sviluppo dei Media e dell'informazione digitalizzata), ha oggi un valore, diciamo così, caratteriale sia a livello soggettivo che collettivo . In proposito trascrivo un gustoso pamphlet, che un mio amico mi ha mandato per posta elettronica, giustappunto sulla distinzione oggi e forse ieri, ma non l'altro ieri, tra destra e sinistra : 
Quando un tipo di destra non è cacciatore e non gli piacciono le armi, semplicemente non va a caccia e non compra armi. 
Quello di sinistra invece chiede che sia proibita la caccia e la vendita di armi.
Quando un tipo di destra è vegetariano, semplicemente non mangia carne.
Quello di sinistra invece fa una campagna contro gli alimenti di carne e gli piacerebbe che si proibisse di mangiare carne.
Quando un tipo di destra è omosessuale, fa una vita normale.
Quello di sinistra invece fa apologia dell’omosessualità, va alle manifestazioni “gay pride” e accusa di “omofobia” tutti quelli che non la pensano come lui.
Quando un tipo di destra perde il lavoro, pensa a come uscire dalla situazione e fa di tutto per trovare un nuovo lavoro.
Quello di sinistra invece va a lamentarsi col sindacato, spende fino all'ultimo giorno e va a tutte le manifestazioni e scioperi sia contro la destra e sia contro gli imprenditori.
 Quando a un tipo di destra non piace un programma televisivo, cambia canale oppure spegne il televisore.
Quello di sinistra invece se ne lamenta coi giornali, denunciandolo sui quotidiani, alle radio, alle televisioni, ai partiti politici di sinistra ed infine promuove un'associazione perché chiudano il canale televisivo che trasmette quel programma.
 Quando un tipo di destra è ateo, semplicemente non va in Chiesa.
Quello di sinistra invece perseguita tutti quelli che credono in Dio, denuncia la scuola che esponga un crocifisso, protesta contro ogni segno di identità religiosa, chiede che si esproprino i beni della Chiesa, che si proibisca la settimana Santa e ogni processione o pellegrinaggio.
 Quando un tipo di destra ha problemi economici, cerca il modo di guadagnare di più e tende a risparmiare.
Quello di sinistra invece ne dà la colpa alla destra, agli imprenditori, alla borghesia, al capitalismo, ai neoconservatori ecc. ecc., poi si mette in un sindacato sperando di fare un salto in un partito politico.
Quando un tipo di destra legge questo scritto, ride e lo manda ai suoi AMICI 
Quello di sinistra invece si infuria e dà del fascista e del retrogrado a chi l’ha scritto e glielo ha mandato.

ENTUSIASMO PER GLI DEI DELL'ETA' DELL'ORO

  La Techne' fu una  pratica di rappresentazione sempre piu’ raffinata - termine che nella accezione antica aveva pero’ un significato m...