lunedì 30 ottobre 2023

LA TEORIA DEL CONTE DI GUIBERT COME BASE DI NAPOLEONE

 

In termini pratici, ai primi di giugno di quel 1796, Bonaparte ormai padrone del Milanese, aveva continuato a fare quello che il Direttorio gli avallava oramai con fervente entusiasmo e anche la popolazione di tutta la Francia gli tributava quel plauso che oramai rasentava l’adorazione. Era lui il Generale che più di ogni altro incarnava la Rivoluzione e l’Italia stava mostrandosi una sorta di luogo di elezione delle idee dell’89: nessuno però andava a sottilizzare come otteneva tali risultati, ovvero imponendo sempre nuove tasse e gabelle ai territori degli Stati che proditoriamente invadeva e spogliandoli delle ricchezze artistiche, spaventandone a bella posta i governanti e minacciando con particolare enfasi le ribellioni che qua e là si verificavano, soprattutto nel Milanese dove l’unica fortezza ancora in mano all’Austria era rimasta Mantova. Le aspirazioni a continuare le direttive del piano del Direttorio ovvero di invasione “sur le derriere” della Germania erano oramai decisamente rientrate e così anche quelle di invadere l’Italia Centrale, soprattutto perché oramai bastava semplicemente minacciare i pavidi Stati Italiani per ottenere tutto quello che desiderava; così era successo con il Ducato di Parma , così con la Repubblica di Venezia ed ora anche con il Re di Napoli che un suo contingente di appoggio all’Austria era stato battuto a Borghetto sul Mincio e persino con il Papa e lo Stato Pontificio che si erano piegati alla sua volontà quasi senza neppure vederla una giubba di un soldato francese. Sotto il profilo squisitamente militare, come abbiamo cercato di dettagliare, il generale Bonaparte aveva eseguito un piano preconfezionato a Parigi un anno prima della sua esecuzione, di cui eccettuato il rintuzzato attacco austriaco di Cairo Montenotte, successo dovuto più al suo sottoposto Massena, che a lui, non c’erano state successivamente che scontri contro retroguardie, anche qui dove erano emerse doti di comando e azione dei sottoposti, sempre di Massena che sempre più si mostrava meritevole di quell’epiteto di “invincibile” ma anche di Berthier, che era il Capo di Stato Maggiore dell’Armata, degli altri due Augereau e Serurier comandanti in seconda ovvero quello che di li’ a poco sarebbe stato etichettato come “comandante di Corpo d’Armata” e anche una serie di generali a livello di Divisionari : Cervoni, Dallemagne, Ordener. Ma più che altro quello che davvero aveva infuso le ali ai piedi della fortuna del Bonaparte era stata la defezione, per motivi del tutto estranei alla strategia militare, dell’Esercito Piemontese, culminata con l’improvviso armistizio di Cherasco. E’ qui e non sul Ponte di Lodi che può addursi l’inizio di quella particolare considerazione che non fa più riferimento a fatti reali, concreti, ma piuttosto considera gli eventi come una sorta di recita da abbellire, colorare e su diciamolo, anche da inventare di sana pianta, fino pervenire ad una composizione per così dire ineccepibile e anche non scevra di alcune suggestioni che in un’epoca di nascente romanticismo quale quel “fin de siecle” in cui ci si trovava nella piana d’Italia, non potevano che polarizzare l’attenzione e accendere gli entusiasmi di larghi strati delle popolazioni, anche di quella stessa Italia le cui porte si erano come magicamente dischiuse a fronte di uno scalcinato esercito comandato da un Generale poco più che un ragazzo: e’ la ragion di stato di un Regno come quello dei Savoia, famoso per il suo opportunismo, per il suo cambiare bandiera, per le sue appunto molteplici “ragion di stato” che era da perlomeno tre anni che tramava per sganciarsi da una alleanza con l’Austria, che provoca il collasso della potenza offensiva del contingente austriaco e quindi induce ad una strategia peraltro perfettamente eseguita, di ritirata strategica, impegnando nelle battaglie di contenimento sia a Ceva che a Mondovi che a Lodi ed infine anche a Borghetto sul Mincio, solo forze di retroguardia: tutte pieces però che la oramai collaudata macchina propagandista del Direttorio era in grado di trasformare in sfolgoranti vittorie, a beneficio di se’ stesso certamente, del suo potere, della sua oculatezza e anche a grande incremento delle sue finanze stante i cospicui beni che continuamente riceveva dalle provincie occupate, grazie a quel nuovo modo di intendere la guerra da parte del giovane generale. Ma ecco il punto : proprio sicuri che quel Generale di 27 anni era  solo una sorta di bella statuina capace di impersonare la parte che per ora si era convenuto di fargli interpretare? Napoleone Bonaparte non si discostava granchè dal clichet del Generale della Rivoluzione, lo abbiamo visto impegnato nella stesura del piano per la Armata d’Italia, piano che poi per una serie di circostanze di cui ne abbiamo esaminato quella più trainante, ovvero avere sposato l’ingombrantissima amante di uno dei più influenti membri del Direttorio: Barras quello che più di ogni altro aveva determinato la caduta di Robespierre due anni addietro, si era ritrovato ad esserne il realizzatore, non era né migliore, ne’ peggiore di altri suoi coetanei, ma decisamente non godeva del prestigio di Generali un po’ più anziani, magari provenienti dalle strade più disparate come Massena Augereau, Serurier, Moreau, Kellerman padre, che però sarebbero stati meno manovrabili dal Direttorio: un’altra cosa da prendere nella debita considerazione è che c’era inoltre un impianto teorico alla base della formazione comune di tutti i quadri militari dell’esercito della Rivoluzione, un “ saggio generale di tattica militare ” ideato da un ufficiale trentenne, di media nobilta’ il conte di Guibert (1743-1790)  poco più di una ventina d'anni prima  nel 1773. In questo libello di Jacques Antoine Hyppolite Conte di Guibert, veniva  affrontato un nuovo modo di far la guerra che da una parte si rifaceva  alle antiche compagnie di ventura dei primi secoli del millennio, che facevano la guerra giustappunto vivendo di essa e cioè di razzie, di saccheggi, dall’altra rigettava tutta la concezione di rigorosa organizzazione degli eserciti, che era stata coeva alla formazione dei grandi Regni e Imperi, e che probabilmente aveva avuto la realizzazione più congrua con il grande condottiero Principe Eugenio di Savoia (XVII secolo e inizio del XVIII) e del suo amico Duca di Malborough, ed era ancora rappresentata da Federico il Grande, che pure aveva avuto modo di conoscere il “saggio” di Guibert e ne era rimasto molto colpito. Il punto è che tutto il senso del “saggio” di Guibert era volto a demolire la stessa concezione dell’arte militare così come era stata interpretata negli ultimi due secoli ed in particolare proprio in quella prima parte del secolo XVIII, ovvero troppi soldati, troppi cannoni, carriaggi, salmerie, enormi parchi di artiglierie, e quindi una massa elefantiaca, lentissima, quasi totalmente incapace di manovrare; per Guibert bisognava preferenziare l’agilità di truppe scelte, mobili, agili, svincolate da appendici di ogni genere, ovvero bisognava affidare l’azione alla velocità: “se la massa è il corpo di un esercito…” diceva “ …la velocità ne è l’anima” Facendo quindi ritorno al giovane generale Bonaparte impegnato in quel del territorio italiano a scorazzare in lungo e largo alla ricerca di sempre nuovi proventi da estorcere ai vari deboli e pavidi Stati, che ovviamente anche lui aveva la sua copia del “Saggio” di Guibert sempre con sé, possiamo senz’altro affermare che tutta la seconda parte della campagna , quella che si diparte dallo scontro di Borghetto sul Mincio fino a Rivolì è totalmente improntata alla teoria della velocità di Guibert. In quella piena estate del luglio 1796 l’esercito francese era composto da coscritti dai 20 ai 25 anni, mentre l’esercito professionista che si apprestava a ridiscendere le Alpi per riconquistare l’italia aveva un organico di 15/20 anni più vecchio. Il primo sembrava una emanazione delle teorie di Guibert : vivace , mobilissimo, del tutto estraneo alla vita di caserma, quasi non conosceva l’esistenza dei magazzini,delle salmerie, ma si muoveva agilmente per il territorio prendendo quel che gli occorreva dove capitava, il netto contrario dell’esercito che l’Impero Austriaco aveva approntato per riconquistare il terreno perduto, affidandolo ad un Comandante della vecchia scuola il settantaduenne 

Feldmaresciallo Dagobert Sigmund Von Wurmster. Questi si era messo in marcia con un contingente di 50.000 uomini diviso in tre tronconi: sulla destra il generale Quasdanovitch doveva aggirare l’estremità settentrionale del Lago di Garda puntando su Salò e Brescia, il Corpo centrale era al comando dello steso Wurmster e puntava a impadronirsi di tutto il corso sinistro dell’Adige fino a portarsi sulle posizioni di Montebaldo, il terzo agli ordine del Generale Davidovich doveva scendere lungo la destra dell’Adige e sboccare su Verona che per l’intanto era stata occupata da Massena. L’esercito francese era schierato in pianura da Peschiera a Mantova lungo il Mincio fino a Legnago sull’Adige. Tradizionalmente i due eserciti, che numericamente si equivalevano avrebbero manovrato a lungo l’un contro l’altro, ingaggiando sporadici combattimenti, ma anche pragmaticamente questo non conveniva ai francesi e ciò Napoleone, indipendentemente dal suo fervore per le teorie del Guibert, lo avevo capito fin troppo bene: difatti quel vivere di razzie e saccheggi senza né magazzini né carriaggi ne salmerie, lo esponeva ora che il nemico vero era tornato a farsi vedere, ai contraccolpi delle rivolte delle popolazioni che potevano essere pericolosissime, alle spalle di un esercito impegnato in guerra: ed ecco che qui viene fuori quel certo barlume di genialità del personaggio che si era ritrovato al centro di tutto quello sconvolgimento e che in parte, solo in parte giustificherebbe la fama di eccezionalità che gli si stava cucendo addosso : il 31 luglio difatti tolse l’assedio a Mantova gettando i cannoni nel lago e si slanciò contro il lato destro del contingente austriaco sorprendendolo e battendolo a Lonato per ricacciarlo verso Riva del Garda. Un’azione davvero fulminea, che riuscì a bissare sempre verso Lonato volgendosi verso il contingente centrale comandato dallo stesso Wurmster, mentre il gen. Augereau otteneva un ulteriore successo a Castiglione. Diciamo che mai e poi ai la teoria Guibert aveva avuto una conferma così plateale, Napoleone suffragato magnificamente di suoi Generali in seconda Massena Augereau e Serurier era riuscito a sfruttare la mobilità di manovra delle sue truppe, riuscendo a concentrarle nel punto più favorevole e sferrare improvvisi e rapidi attacchi che avevano scompigliato i contingenti nemici. E' vero che la valle del Po rappresentava un campo sperimentale ideale per tutta la dottrina Guibertiana, ma bisogna per la prima volta anche ammettere che il Generale comandante dell'armata d'Italia, stava cominciando a dimostrare i suoi numeri e come fatto cenno, anche ad essere entrato a pieno titolo nella parte che la Fortuna e gli eventi precedenti più un interessato Organo di potere, lo avevano eletto a protagonista. Riorganizzate le sue forze Wurmster provò nuovamente nel settembre  a riconquistare la Valle del Po cercando di saldare  la sua discesa lungo la valle del Brenta fino al caposaldo della Fortezza di Mantova che restava sempre l’unico punto fermo della presenza austiaca  e questo mentre il suo Generale in seconda Davidovich tornava a scendere dalla valle dell’Adige, ma ancora una volta la tattica Guibertiana imperniata sulla velocità ebbe la meglio degli elefantiaci contingenti austriaci cui ogni allungamento delle linee di marcia e di comunicazioni  dovevano essere accompagnti da  spostamento di depositi, carriaggi e salmerie. Manovrando agilmente tra le  le due ali nemiche, Bonaparte operò prima contro Davidovich fcendolo riarretrare verso il Tirolo e quindi si rivolve verso Wurmster  sorprendendolo e battendolo a Bassano. Giusto alla metà di settembre quindi   anche questo secondo tentativo di  riprendere i territori perduti era miseramente fallito e a Wurmster non restava che asserragliarsi a Mantova- Di converso Bonaparte scongiurato il secondo attacco di riconquista austriaca cominciò a modificare il suo comportamento e anche pensiero: se fino ad allora era stato un solerte esecutore delle disposizioni del Direttorio, ora in quei primi di ottobre cominciò a fare un po’ di testa sua, comportandosi come un sovrano in terra di occupazione, difatti non contento di spaventare tutte le popolazioni italiane fino addirittura a comprendere il Papato, denunciò  l’armistizio col Duca di Modena deponendolo e ponendo i popoli di Modena e Reggio sotto la protezione dell’esercito francese. Fatto questo cominciò ad accarezzare l’idea di favorire le aspirazioni indipendentistiche che si erano avuti in vari Stati  e proclamare  una Repubblica federativa composta dai Ducati di Modena di Reggio con l’aggiunta degli Stati di Ferrara e di Bologna, dandole il nome di  Cispadana.

Si è discusso a lungo tra gli storici se fu proprio Napoleone l’ispiratore della idea di una Italia unita, così come se la Rivoluzione abbia  o no inventato  le guerre di propaganda per la libertà  o piuttosto non abbia invece continuato  le guerre di espansione dell’Ancien Regime. Il punto è sempre l’istanza utilitaristica che guidava sia il Direttorio che Bonaparte che vedeva ogni giorno accrescersi la sua influenza e anche il suo potere e ora che era decisamente tramontata la originaria idea di utilizzare l’Italia come corridoio per colpire alle spalle il fronte germanico, ovviamente era alla ricerca di espedienti che gli assicurassero un contesto più favorevole di popolazioni in rivolta, e cosa poteva esservi di meglio che ergersi a paladino della libertà dei popoli, e fomentare le aspirazioni di indipendenza ed anche di una proto unità nazionale dei territori italiani?  D’altronde c’è da rilevare come  nello spazio di pochi giorni l’intera mentalità di tutta la popolazione italiana, si era staccata dall’Ancien Regime e aveva  abbracciato quella della Rivoluzione, portata però dalle baionette dei soldati di un generale di 27 anni, che era riuscito a mettere in riga tutti gli antichi sovrani e persino il Sovrano meno terreno: il Papato. Bonaparte insomma  propose al Direttorio di aiutare il partito pro Rivoluzione nell’Italia centrale non certo per favorire le fumose e indistinte aspirazioni di qualche gruppo di exagitati imbevuti di romanticismo , ma solo per ottenere un po’ di tranquillità nei territori conquistati e costruirsi una base di appoggio, specie sul finire di ottobre  quando fu oramai assodato che l’Austria preparava un’altra spedizione di riconquista dell’Italia affidandone il comando al
generale Joseph Alvinczy von Berberek che il 1 novembre partendo da Gorizia avanzò contro Massena che aveva il suo quartier Generale a Bassano, mentre il Gen Davidovitch scendeva da Bolzano lungo la Valle dell’Adige per attaccare i Francesi a Trento. I due eserciti contavano quindi di riunirsi e marciare su Mantova dove era asserragliato Wurmster : sulle prime le operazioni furono favorevoli agli Imperiali, tanto da indurre Napoleone ad inviare una disperata lettera di aiuto al Direttorio, ma poi per uno di quegli strani casi della sorte, che come abbiamo più volte visto, aveva preso a benvolere il giovane generale, questi  radunando tutte le sue forze   in un supremo sforzo a “la và o la spacca” attaccò frontalmente Alvinczy; in verità aveva fatto un po’ un ragionamento alla teoria di Guibert, questa volta però di segno contrario : si era difatti reso conto che per marciare lungo la pianura veneta Alvinczy aveva molto allungato le sue vie di comunicazione e soprattutto perso contatto coi suoi depositi e rifornimenti, il che non disponendo di un esercito mobile e agile come quello francese,lo poneva senz’altro in condizione di vulnerabilità qualora si fosse individuato un punto, diciamo così di rottura, secondo un concetto di sfinimento strategico e logistico del pesante esercito austriaco; questo punto gli parve di individuare nel ponte sul fiume Alpone a ridosso del Villaggio di Arcole  e qui difatti concentro’ tutti i suoi sforzi, sapendo bene che doveva battere Alvinczy prima che si congiungesse con Davidovitch;  addirittura nel fervore dell’azione, preso un tricolore, si slanciò in prima persona nell’attacco partecipando di persona all’attacco che per poco non finì davvero tragicamente, dato che nella foga dell'azione il comandante in capo,  cadde malamente in un fosso a ridosso del Ponte di Arcole  e sarebbe stato certamente fatto  prigioniero, se non si fosse lanciato in suo aiuto l’aiutante di campo Gen. Berthier.
La verità e’ che la battaglia di Arcole, dopo tre giorni di accaniti combattimenti, che avevano visto sia  Bonaparte che  i suoi due generali in sottordine Massena e Augereau bloccati, il primo a nord della cittadina, il secondo frontalmente sul Ponte, ancora una volta fu decisa da un magistrale intervento di Massena, che riuscì ad ingannare gli austriaci piazzando una sola Brigata delle sue truppe fuori l’abitato di Arcole, nascondendone il resto nella vegetazione e quindi attirandoli fuori la cittadina e sbaragliarli. Visto il successo di tale azione anche Napoleone fece qualcosa di simile, difatti radunato un piccolo contingente della sua Guardia del Corpo, lo spinse a guadare il fiume in un punto nascosto  per poi lanciarsi  con tanto di squilli di trombe sul retro delle posizioni austriache di Arcole, facendo loro credere di trovarsi attaccati alle spalle da un grande reparto. Quindi gli austriaci subito si ritirarono verso nord convinti di un imminente attacco in forze francese. Grazie a questo stratagemma i reparti che bloccavano Augereau sbandarono dando l'occasione al generale francese di riunirsi con Masséna nell'ormai libera Arcole, da dove, assieme ai soldati provenienti da Legnago, dilagarono nelle zone circostanti. Alvinczy, di fronte a quella che gli sembrò una grave minaccia alle sue retrovie, ordinò la ritirata su Vicenza. Con un prezzo di 4500 perdite in tre giorni di furiosi combattimenti, Napoleone aveva definitivamente stroncato il tentativo di Alvinczy di riunirsi con Davidovich e liberare l’Italia centrale. Con 7.000 uomini in meno, morti, feriti o presi prigionieri ad Arcole, Alvinczy riuscì a malapena a ritornare a Trento abbandonando del tutto il progetto di liberare Mantova.

domenica 29 ottobre 2023

DAL PONTE DI LODI LA SCENOGRAFIA DELLA FARSA


 E' da questa battaglia svoltasi sul Ponte di Lodi, non di rilevante importanza militare, ma di enorme  importanza psicologica, in quanto punto di origine del mito Napoleone così come si è andato costruendo nell'immaginario collettivo della storia, che si diparte tutto il nostro  ragionamento di "recitare una parte"  che come detto nel precedente articolo fa seguito ed è in correlazione  con quello dello storico Guglielmo Ferrero.   Di fondamentale importanza il fatto che proprio l'interessato ovvero il non ancora ventisettenne generale Napoleone Bonaparte, contribuì non poco alla formazione di questo vero e proprio mito, asserendo nelle sue memorie  che in  lui la visione della futura grandezza gli derivò appunto da quella battaglia " Fu solo nella serata di Lodi "raccontò nelle sue memorie "che cominciai a ritenermi un uomo superiore e che nutrii l'ambizione di realizzare grandi cose...." il fatto degno di nota è che la stessa cosa scaturì non in una, la piu' importante ovvero quella di Paul
BARRAS
Barras,  ma in tutte le menti del Direttorio ivi compreso nelle menti dei Generali che all'unisono con lui compreso, avevano fissate le disposizioni del piano di cui, non dimentichiamolo mai, fino allora, lui che si era ritrovato per una somma di fortuite circostanze ad assumerne l'onere/onore di realizzarlo, vi si era attenuto in maniera  esemplare.  Difatti il Direttorio, preso atto con  gradita sorpresa  che le notizie del fronte italiano avevano un favorevolissimo impatto in tutta la Francia, pensò bene di enfatizzare quella scelta, che a parte i sottesi favori, le regalie, ed anche i  compromessi,  risultava esclusivamente propria, pensò bene di enfatizzare la figura del giovane fino ad un paio di mesi prima completamente sconosciuto Generale,  quasi costituendo un eco a quelle impressioni del tutto soggettive del protagonista. Poco importanza aveva il fatto che in verità la battaglia di Lodi era stata in realtà uno scontro  vinto contro una retroguardia nemica, lasciata di presidio a Lodi,  su disposizione di  Beaulieu,  di fermare l’avanzata francese giusto il tempo  da consentire al grosso dell’esercito austriaco  di ritirarsi oltre l’Adda, questo dopo che  Napoleone aveva violato la sovranità  del Ducato di Parma per attraversare il Po a Piacenza impossibilitato a farlo nel tratto di confine con la Lombardia,  dato che in ossequio alla sua esemplare ritirata strategica Beaulieu  aveva distrutto tutti i ponti di tale tratto e requisito tutte le barche.
 
L’agiografia storica e non solo quella napoleonica  si è sempre compiaciuta di mostrare la differenza tra i due Generali  Beaulieu e Bonaparte,  il primo  quasi un vecchio trombone ancorato a regole e condotte di guerra sorpassate  mentre il secondo portatore delle idee nuove dei tempi che di tali regole si facevano beffe, con differenti strategie:   prendendo a motivo   proprio questa occasione in cui il Bonaparte aveva ovviato alla distruzione dei ponti e  alla requisizione di tutte le barche  del tratto di confine con la Lombardia che Beaulieu aveva effettuato,  invadendo  il neutrale Ducato di Parma per attraversare il fiume a Piacenza  e trovarsi di fronte quindi a fronte dell’esercito nemico. Ma anche questa è più leggenda che storia, o perlomeno una gonfiatura:  difatti   Beaulieu dopo l’armistizio di Cherasco e la defezione del Piemonte, non aveva nessuna intenzione di accettare una battaglia campale con l’Armata  Francese, anche perché questa proprio in virtù della “messa in scena” che stava cominciando ad ordirsi del generale invincibile,  questi aveva  ricevuti notevoli rinforzi di uomini e materiali ed era in netta superiorità numerica: la verità è che Bealieu stava effettuando una perfetta ritirata strategica e per farla, ponendo il grosso del suo esercito al sicuro oltre l’Adda, aveva anche usato lo stesso stratagemma utilizzato dal suo più giovane antagonista: invadere uno Stato neutrale, nella fattispecie la Repubblica di Venezia. Quindi neppure quella di un nuovo modo di fare  le guerra secondo lo spirito della Rivoluzione,  che se ne irrideva di tutte le regole della guerra del XVIII secolo,  era una verità, tant’è che proprio un Generale di quella vecchia scuola l’aveva utilizzata senza problemi. La verità è che Napoleone fece mostra di una sorta di abbaglio, che tendera’ spesso a ripetere  e che già di per sé inficia quella nomea di grande stratega e generale invincibile che contemporanei e posteri gli hanno attribuita : non valutare con esattezza l’entità delle forze nemiche:  qui a Lodi si tratto’ di una sopravvalutazione,  ovvero scambiò una retroguardia per l’intero esercito nemico, a Marengo quattro anni dopo, si ebbe il netto contrario:  scambio’ l’intero esercito austriaco per una retroguardia. Ora, se nel primo caso lo sbaglio fu facilmente riparato ed anzi si potè, anche da parte del Direttorio,  gonfiare la cosa e farla passare per una grande vittoria: a Marengo se non ci fosse stata la disubbidienza di un suo  sottoposto il Generale Desaix che contrariamente agli ordini che gli erano stati impartiti, fece marcia indietro con le sue  due Divisioni, e le scaglio’ contro l’esercito nemico che già si era impadronito del campo di battaglia, sarebbe stata certamente la disfatta e non quella straordinaria vittoria, di gran lunga la preferita da Napoleone, caratterizzata da quella mitica frase non sua, ma proprio di quel generale Desaix che aveva disubbidito ai suoi ordini :
“una battaglia è perduta? c’è il tempo di vincerne un’altra!” frase che non si è neppure sicuri della sua effettiva pronuncia da parte del giovane Generale (era coetaneo di Bonaparte)   prima di perdere la vita colpito in pieno petto da una palla nemica appena slanciatosi alla testa delle sue Divisioni contro gli austriaci, frase che  ovviamente fu fatta passare per vera, destinata a rimanere per sempre nell’immaginario dell’epopea napoleonica, anche se a ben vedere avrebbe dovuto rappresentarne la relatività. Torniamo quindi al cospetto di quella quasi magica entità che cominciava a seguire il Generale Bonaparte, la Fortuna e di certo una sua ancora più fortuita circostanza che metteva in correlazione le vicende belliche  del generale con le aspettative che il popolo francese si aspettava da lui e il  Direttorio che si premurava di confezionargliele  adeguatamente. Che questa ulteriore manifestazione della Fortuna non fosse, militarmente parlando, niente di così straordinario lo deduciamo dalla semplice cronologia degli episodi salienti della battaglia di Lodi : le avanguardie francesi arrivarono diffatti in vista di Lodi nelle prime ore della mattina del 10 maggio, quando ormai l'intero esercito austriaco era in salvo oltre l'Adda, mentre alla difesa della cittadina era, come abbiamo fatto cenno, rimasta  una retroguardia di 10.000 uomini agli ordini del generale Karl Philipp Sebottendorf. Questi aveva piazzato tre battaglioni e sei cannoni in posizioni che dominavano il ponte di Lodi e la strada d'accesso e altre due sezioni di tre pezzi l'una erano appostate in ogni lato della strada. Napoleone attaccò frontalmente  sul ponte con i Granatieri, mentre con un contingente di cavalleria cercava  di guadagnare un guado per aggirare gli austriaci: l’assalto  dei granatieri fu però fermato  proprio a meta’ del ponte, sicché il Generale Massena si vide costretto ad intervenire e con il concorso di altri generali Berthier, Dallemagne e Cervoni  riuscì a guadagnare la sponda opposta. Un contrattacco di Sebottendorf fece quasi riprendere agli austriaci il ponte, ma sempre il solito  Masséna cui si aggiunse l’apporto di un altro dei Generali in seconda di Bonaparte, Augereau, riuscì a stroncare  l'azione irrompendo nelle linee nemiche, favoriti i due comandanti in seconda dell’Armata nel pieno successo,  dal provvidenziale arrivo dei cavalieri del Gen. Ordener che nel frattempo avevano trovato un guado. Sebottendorf si disimpegnò subito e si ritirò verso il grosso delle forze di Beaulieu, lasciandosi dietro 153 morti, 1.700 prigionieri e 16 cannoni. I francesi ebbero in totale 350 perdite,  pertanto possiamo concludere  che  la  vittoria di  Lodi fu ben lungi dall'essere un grande successo così come fu subito rappresentata ed anche così come  è stata tramandata, difatti fu  conseguita su di una semplice retroguardia dell’esercito principale, il cui Generale subordinato Sebottendorf riuscì a disimpegnarsi con quasi tutte  le sue truppe per confluire nella perfetta ritirata strategica del comandante in capo Beaulieu, che a conti fatti non fu affatto quel pigmeo rispetto al gigante  cui la storia ha voluto tramandarlo.
Da una parte Napoleone non fu esattamente quell’interprete straordinario di novello genio militare, cui proprio da quei tempi è stato cominciato ad additarsi; dall’altra Beaulieu, come abbiamo appena visto, fu tutto tranne che un incauto e sfortunato generale che ebbe a cimentarsi contro il “genio” per antonomasia , venendo battuto a ripetizione, ma un oculato stratega, magari non di fase offensiva, ma di certo un vero maestro di ritirate strategiche. Abbiamo visto che a creare, specie la prima di “leggenda” fu proprio il Direttorio per motivi di opportunità e convenienza: conveniva difatti ad un Organo di Governo, asceso così rocambolescamente al potere, senza alcuna leggittimizzazione legale e popolare, sfruttare le occasioni della Fortuna, quale si presentassero, per oscure e contraddittorie che fossero, ecco! proprio del tipo di un generale venuto dal niente, praticamente senza una carriera a sostegno, con un incarico avuto piu’ che altro per camarille “di letto” e che potesse essere investito di una gloria tutta da gonfiarsi, appunto fargli “recitare quella parte” che abbiamo ripreso dalle tesi di un vecchio e dimenticato storico e che oggi in una fase della storia del mondo, che questo “recitare una parte” sembra diventata una caratteristica non solo episodica o accessoria di “esser-ci”, dovrà essere argomento di approfondimento e dovrà essere sviscerata fino all’esaurimento. In effetti conveniva al Direttorio, conveniva a quel po’ di Rivoluzione che ancora accompagnava il Popolo francese, conveniva alla guerra in corso contro le coalizioni europee, conveniva anche alle finanze dello Stato, sempre in cerca di soldi, che un Esercito sul campo provvedesse a emettere tributi, fissare indennita’ di guerra, fare razzie e incetta di opere artistiche dei territori che via via occupava, il tutto da inviare sollecitamente alla madre patria: un qualcosa quindi, questa supposta grandezza che alla fin fine, come abbiamo visto dalle memorie dello stesso Napoleone della notte successiva allo scontro di Lodi, stava cominciando a far breccia, innanzi tutto su se stesso sulla sua particolare personalità che per la prima volta si sentiva come investito di un potere straordinario e che di lì a poco, possiamo stare tranquilli, tutti, ma proprio tutti, amici e nemici, popolino e grandi uomini, contemporanei e posteri, gli riconosceranno tutti, all’unisono. C’era uno dei punti elencati che dobbiamo esaminare con maggior dettaglio, strettamente correlato alla questione del recitare una parte e del gonfiarne i connotati : la questione del chiedere denaro come indennità ai vari Stati cui l’esercito si trovava a passare e operare razzie, un po’ a mo’ di vecchio esercito di ventura, in stretta associazione col suo impatto di minaccia e terrore verso le popolazioni: in questo Napoleone si cimenta alla vigilia della battaglia di Lodi invadendo la neutralità del Ducato di Parma, ma non solo limitandosi ad occuparne i territori e requisendo tutte le imbarcazioni per il passaggio del fiume, ma altresì fissando una indennità e operando ruberie. Ecco precisamente fa subito dopo, lo stesso, indentrandosi nel Milanese e anzi rincarando la dose, andandoci giu’ con mano molto più pesante: chiede al Ducato di Milano 20.000 franchi una cima enorme per il cui pagamento indubbiamente il Ducato non si sarebbe potuto esimere senza imporre una tassazione a tappeto di tutti gli abitanti, e non solo ma alquanto contrariato che il Direttorio gli ha imposto di cedere metà del comando della sua Armata al Gen. Kellerman, figlio del famosissimo generale della cannonata di Valmy del ’92, si lascia andare a lanciare proclami con minacce di saccheggi, plotoni di esecuzioni se non verra’ esaudito : In merito allo sdoppiamento dell’Armata come al solito ubbidisce anche se controbatte con una amara lettera ove più che alla divisione dell’Armata, si cruccia del fatto che non si pensi più a quella “manoeuvre sur le derriere” che era stata fissata dal famoso piano dei Generali del Direttorio di invasione della Germania nel 1795 (tra cui lui stesso) , ma unicamente a ricacciare in Tirolo gli Austriaci, cosa appunto che il Direttorio lasciava intendere di voler incaricare Kellerman e di converso, per lui, stabilire una sorta di raid per l’Italia centrale fino all’occupazione di Livorno che solo molto genericamente avrebbe dovuto fiaccare la resistenza dell’intero Paese ed anche di forze inglesi che lo presidiavano: la verità e’ che il Direttorio abbagliato dai proventi che gli arrivavano dalle incursioni del suo Generale, nei vari Stati italiani, non aveva altre raccomandazioni se non quelle di insistere in questa pratica di non solo “finanziare la guerra con la guerra” , ma fare assai di più : finanziare l’intera Francia di moneta sonante e altresì foraggiarla di opere d’arte, di magnificenze, di tesori. Così anche di quella suddivisione del comando d’armata, dopo la equilibrata ma ferma risposta di Bonaparte, che come si vede comincia a essere uno che sa il fatto suo, non se ne fa più nulla (ha troppo paura il Direttorio di perdere la sua gallina dalle uova d’oro) e anzi Kellerman è inviato in Italia con 10.000 uomini di rinforzo ma in sottordine a Bonaparte. Diciamo che dopo Lodi e con la presa di Milano, la Fortuna gioca sempre alla grande, però, e’ doveroso notare che il suo massimo beneficiario ci mette ogni volta qualcosa in più di suo : si d’accordo era stato un abile spauracchio per i vari per lo più imbelli Stati Italiani, ivi compresa la Repubblica di Venezia che il Direttorio si raccomandava di considerare potenza non amica e pertanto invadere con tutta tranquillità i suoi territori e richiedere le solite indennità e fare le solite requisizioni di tesori e opere d’arte, ma ora si slancia con foga contro la linea del Mincio verso Borghetto dove costringe Beaulieu alla sua solita ritirata strategica oramai nella valle dell’Adige tranquillamente verso il Tirolo, ma disimpegnando suoi 20 battaglioni alla difesa della estrema fortezza di Mantova che a questo punto, in quella seconda parte di maggio 1796 era l’ultima fortificazione austriaca di tutta la Lombardia. Neppure Borghetto era stata una grande vittoria, però come al solito aveva lasciato Napoleone padrone del campo e questo tradotto nel linguaggio per il Direttorio, significava altre cospique entrate, mentre da parte dello stesso Direttorio significava profferire ulteriori allori, sempre per quella parte da gonfiare e da fare recitare al più che volenteroso comandante in capo. Insomma parliamoci chiaro: il Direttorio diventa davvero quel punto di coagulo di tutte le operazioni che in qualche modo finiscono nelle sue casse e in qualche modo all’intera cittadinanza e quindi si fa anche cassa di risonanza in merito alle imprese di quel, fino a ieri sconosciuto Generale. Un destino fatto di alcune secondarie battaglie, parecchie scaramucce, una grande dose di fortuna, che si è compiaciuta di fissare la sua mano su di un paio di località e vere e proprie sequenze, magari prefissate di eventi, come la defezione Savoiarda all’Austria e l’armistizio di Cherasco, l’abbandono quasi senza colpo ferire di Ceva e poi del Ponte di Lodi presidiato solo da una retroguardia, mentre il grosso dell’Esercito era oramai al sicuro, Generali avversari, sia quello savoiardo Colli, che quello austriaco Beaulieiu, per nulla dominati dalla genialità del giovane comandante francese, ma che anzi erano stati più che altro degli abili tessitori di ritirate strategiche ed infine neppure messi in scacco dai tempi nuovi della Rivoluzione, con la leggenda che imponevano metodi e strategie diverse di guerra, senza rispetto di regole, osservanza di patti, rispetto di neutralità di Paesi non ostili, perché se questa fu una delle peculiarità di Bonaparte di certo il comandante austriaco non fu da meno, tant’è che, per ritirarsi oltre il Mincio non si curò minimamente di infrangere la neutralità della Repubblica di Venezia. Semmai, ecco si può dire che Napoleone lo fece molto di più, ma non ci illudiamo, in questo costantemente istigato dal Direttorio, che raccomandava di non considerare più alcun Paese neutrale, ma tutti alla stregua di possibili alleati del nemico e pertanto utilizzare la forza delle armi per indurre i pavidi, ma ricchi e floridi Paesi italiani a pagare tributi e a consentire il sistematico spoglio dei loro tesori e opere d’arte. La verità è che non è Napoleone, né nessuno dei suoi Generali e soldati, il responsabile dell’avventura italiana e delle sue immense conseguenze, dice ancora Ferrero, nel sistematico ragguaglio che la sua opera “Avventura” ha con il presente scritto: il responsabile è il Direttorio, il Direttorio, come abbiamo già osservato, organo direttivo e di governo illegittimo, il quale non potendo trovare alcun principio di diritto nel suo operare, ecco che all’improvviso lo aveva trovato in alcune secondarie imprese militari su di un fronte secondario, in merito ad una sua sorta di scommessa su di un generale sconosciuto che grazie anche a indubbi colpi di fortuna aveva colpito l’immaginazione delle folle. Bhe! superfluo dire che se quel Generale era frastornato, tutto il Direttorio quasi non credeva a quanto si stava compiendo sotto ai suoi occhi: la creazione di un Mito, in linea coi tempi di infatuazione romantica, dell’uomo solo e sconosciuto che in forza del suo talento, del suo genio, della sua grandezza degna di essere accostata ai più grandi condottieri, che trionfa su tutto e su tutti e non solo;
ma a parte questa fama che difatti da Parigi comincerà a caldeggiare, a gonfiare ogni oltre limite, si profila questa straordinaria occasione di trarre, grazie al ricco e sguarnito serbatoio italiano, profitti immensi in una guerra che stava facendo ben più di quella medioevale delle compagnie di ventura, che come abbiamo osservato si finanziava da sola: questa è una guerra che per la prima volta nella storia, finanzia e arricchisce la Nazione che l’ha ingenerata. Possiamo a contrapasso di tal ragionamento, dire che la figura del giovane generale Bonaparte stava emergendo dalle brume della storia con caratteristiche invero uniche e inusitate: anche ai tempi di Roma c’era l’Homo Novus, Caio Mario, Agrippa, Seiano, Vespasiano, ma era sempre inserito in un contesto preordinato senza possibilità di essere troppo innalzato sulle masse se non con il meccanismo dell’adozione o di quello estremo della deificazione; per tutta la storia dell’umanità fino alla Rivoluzione Industriale, nessuno, se non eccezionalmente Capitani di Ventura, Banchieri, Magistrati che riuscivano ad ascendere alla guida di una Signoria, ma mai comunque a livello di Regno o di Impero, erano riusciti ad emergere in modo così netto: è con la Rivoluzione Industriale che ora per la prima volta si diparte questa nuova possibilità essendovi tutta un’altra serie di parametri in gioco : anzitutto quello fondamentale che non è più l’uomo il riferimento principale dell’essere al mondo, bensì la macchina: equiparato ad una macchina anche l’essere umano può essere oggetto di costruzione, di assemblaggio, di sostituzione, di demolizione, e questo attribuendogli anche una serie di qualità accessorie, tipo una bella coloritura, la lucidatura di condotti, materiali più pregiati etc. L’uomo viene espropriato della sua essenza ma assume il senso del suo apparire, ed ecco che, per favorire questo apparire, possono essere messi in campo tutta una serie di espedienti, la pubblicizzazione, l’esaltazione, la gonfiatura, spesso e volentieri del tutto arbitrarie delle sue gesta, o meglio quelle che si vuole che siano passate per gesta, quindi fargli “recitare una parte” e fare in modo che questo recitare una parte sia del tutto indistinguibile dal farla per davvero. Ferrero parla di strano destino che Napoleone Bonaparte sia stato nel contempo il più celebre e il piu’ sconosciuto degli uomini: un uomo che il mondo non doveva mai conoscere tale quale è stato, un uomo di cui si sarebbe visto un doppione creato dall’immaginazione credula delle folle: Io non credo che possiamo parlare di “strano destino” : è il destino dell’uomo moderno venuto fuori dalla Rivoluzione Industriale, venuto dalla sua identificazione con la macchina, il meccanismo, l’ingranaggio, che ha fatto si che oramai la sua identità non sia recuperabile se non nella molteplicità dei suoi apparire, nella proliferazione di sempre nuove “parti” che una società sempre più atomizzata e spersonalizzata non ha fatto altro che assegnargli in questi ultimi due secoli e mezzo. Siamo, da una parte con “l’uomo ad una dimensione” di Marcuse, ravvediamo l’insetto di Kafka, da lontano la Balena bianca di Melville, quindi l’eterno Dottor Faust alle prese con il Mefistofele di Goethe, che si fa la malattia commista però all’arte nel Doctor Faust di Thomas Mann, ma si ritorce in se stesso rispetto al potere costituito nel libro del figlio di Thomas, Klaus Mann:
Mephisto . E’ l’uomo che non ha mai più ritrovato se’ stesso, perdendolo nella frammentarietà delle sue rappresentazioni e delle sue identificazioni, tutti quei “recitare una parte” hanno seppellito l’unica vera parte di se stesso, sicchè alla fine proprio come i personaggi di Pirandello, si ritrova anch’egli in cerca di autore.


sabato 28 ottobre 2023

LA STORIA E' UN TEATRINO

 

La storia è stata sempre falsificata e falsificabile. Questa domanda mi è stata solleticata dal ritrovamento di un vecchio libro di uno storico italiano Guglielmo Ferrero, non troppo conosciuto in quanto essendo antifascista e esule in vari Paesi, non è stato in Italia oggetto di capillare diffusione e attenzione;  diciamo “peccato” perché siamo in presenza di uno storico vero e molto originale, oggetto di grandi riscontri,  ma giustappunto non in territorio nazionale, ma nei numerosi Paesi in cui è stato esule ed ospite (Svizzera, Francia, Gran Bretagna , Stati Uniti) ;  il libro in questione  è del 1936 pubblicato in Svizzera,  si chiama "Avventura" e  tratta del prepotente ingresso nella storia, del giovane generale Napoleone Bonaparte con la campagna d’Italia del 1796/97, dove è avanzata la tesi che tale folgorante  ascesa non sia stata affatto dovuta a quel genio militare universalmente attribuito al personaggio e neppure a quella sorta di “hoc erat in votis”che trascende i dettami della storia, ma a tutta una serie di circostanze tra il fortuito e il fortunoso, ma anche un tantino al programmato, che fa si di individuare  un contesto preordinato e ben incanalato nei dettami di una precisa strategia sociale.  Le verità storiche  come quelle scientifiche  sono sempre relative e la campagna d’Italia del 1796/97 è stata universalmente considerata dagli storici come innesto della più straordinaria avventura del personaggio che l’aveva condotta, quel personaggio che 10 anni dopo, all'indomani della battaglia di Jena,  farà  scomodare  un  filosofo come Hegel  per  veder passare “lo spirito della storia “ :  e’ da due secoli e passa, appunto  che si racconta che la Campagna d’Italia fu il parto del solo cervello geniale di Bonaparte,  e che solo lui avrebbe potuto avviare un simile sconvolgimento, ma analizzando spassionatamente i fatti l’autore perviene alla constatazione che non è affatto così:  in effetti, specie nella prima parte della campagna non si ravvede alcuna variazione rispetto al piano studiato dal Direttorio per i compiti dell’Armata: va notato difatti,  che all'incirca  dalla meta’ dell’anno precedente all'assunzione del comando dell’armata di Bonaparte il Direttorio in collaborazione con il Comitato Topografico Militare e una serie di giovani Generali, di cui faceva parte anche lui il ventiseienne  Generale di Divisione Napoleone Bonaparte, aveva elaborato un piano d’azione sia tattico che strategico  per la non troppo considerata Armata d’Italia. Sotto il profilo tattico il primo obiettivo doveva essere la città e fortezza di Ceva che doveva essere attaccata  da due lati delle forze d’Armata , la prima lungo il Tanaro, la seconda  da Savona, per poi proseguire nella direttiva di separare le forze austriache da quelle piemontesi e procedere verso la Lombardia . Le linee strategiche per l’Armata del Piano del Direttorio, però non riposavano in Italia, ma prevedevano l’invasione della Germania  attraverso l’Italia,  e Napoleone come si e’ detto, faceva parte del gruppo di Generali che aveva ideato tale piano in un periodo in cui non aveva ancora alcuna idea che sarebbe stato proprio lui quello che sarebbe stato incaricato di  dargli  fattualità.  Questo punto è di capitale importanza nel ragionamento che stiamo seguendo :  dove è che finisce la la storia e dove è che comincia il mito???? perché in effetti  siamo in presenza della nascita di un  mito, anzi a tutti gli effetti il più inossidabile mito dell’era moderna, un’era nata appunto nata come Rivoluzione delle macchine che aveva avuto in precedenza  qualche prodromo di personalizzazione ( Federico II di Prussia, l’Imperatrice Maria Teresa d’Austria, qualche musicista, tipo Mozart e  Beethoven o magari filosofi o studiosi d’eccezione tipo Liebniz, Newton, Kant) , ma che troverà in questo piccolo insignificante uomo, che in altri periodi, se non avesse incappato in una serie di sconvolgimenti sociali del calibro della Rivoluzione Francese, sarebbe rimasto un oscuro ufficialetto gratificato al massimo del grado di Maggiore. E’ notorio come praticamente tutti,  anche coloro che non lo avevano particolarmente amato (il manzoniano “vergin di servo encomio e di codardo oltraggio”) finissero per esaltarlo, appuntandosi anche su particolari non troppo dissimili dal conformarsi delle nuvole ad una apparente madonna in cielo, per uno stuolo di fanatici e suggestionabilissimi religiosi : nel 1840 quando in una giornata invernale nuvolosa e uggiosa fu traslata la salma dell’Imperatore da sant’Elena per essere tumulata nella Chiesa des Invalides, ecco che all'improvviso uno splendente sole sbucò dalle nubi per illuminare il feretro e le ali di folla che

l’accompagnavano lungo les Champs Elysees, e simultaneamente si levò dalle folla un grido che squarciò il silenzio …“LE SOLEIL D’AUSTERLITZ !!!!!” e come d’incanto ritornare la magia dell’Impero, dei bollettini delle battaglie, i gagliardetti, le insegne, le fiammanti uniformi della Vecchia Guardia. Per spiegare tutto questo, cogliendolo proprio dal suo inizio, l’autore del libro “Avventura” Ferrero, parla appunto di un non meglio precisato “spirito di avventura” una sorta di smania che fa da correlato nel genere umano specie da quando il suo baricentro si è spostato dall'interno di sé stesso  ad un qualcosa di esterno:  la macchina il prodotto della cosiddetta rivoluzione industriale ;  e’ un smania che sostituisce la ripetitività, la routine, cui lo spostamento di indice referenziale appunto dall'interno all'esterno di sé, in una protesi di tutte le sue capacità , della sua stessa essenza,  spinge l’umanità, da una parte con impazienza, ma dall'altra con riluttanza, a uscire dal momento presente, per andare a cercare qualcos'altro in un altro tempo,  in un altro spazio, appartenente non più alla realtà, ma all'immaginazione; non è un tempo presente, ma non è neppure un tempo passato, ne’ tanto meno un tempo futuro in una semplice modalità desiderante: è un altro tempo, non semplice, ma composto e molto più complesso, un tempo che può trovare applicazione in un mondo matematico di perlomeno cent’anni antecedente alla Rivoluzione Industriale, che due grandi studiosi avocarono a loro ideazione  Leibniz e Newton : il calcolo infinitesimale!  Di cosa si occupa il calcolo infinitesimale di tanto importante e di  tanto inerente ai tempi che verranno fino ad essere ancor oggi uno dei calcoli più largamente impiegati per addivenire a risultati della massima utilità non solo teorica, ma anche pratica? di  andare a definire quel particolare “punto/momento/emozione” in cui uno stato si trasforma in flusso, un cambiamento che compatibilmente al suo far parte di tutto l’insieme dei numeri complessi, ne comporta anche l’impiego del sottoinsieme dei numeri immaginari, ovvero proiezioni di numeri negativi. Lo spazio/tempo e flusso, farsi cioè quel “sarà stato “ che rappresenta una modalità trascorsa e nel contempo “ri-assunta”, per dar luogo ad un avvenire, che fa leva sugli immaginari, tutti gli immaginari possibili, dove la realtà si piega alla fantasia e anche alla manipolazione, abbisognando non solo del calcolo infinitesimale e di tutto l’insieme dei numeri complessi, ma altresì della capacità di persuasione della nuova grande arma della Rivoluzione Industriale : la stampa, i mezzi di informazione, tutto quello che più tardi verrà denominato “Mass media”
La tesi del libro di Ferrero che assume un che di inquietante nella correlazione con quanto sta accadendo oggi, non nomina il calcolo infinitesimale, né le derivate complesse che impiegano anche numeri immaginari, ovvero proiezioni di negativi -1, -2, -3, -n, con i quali si intende quella mancanza, debito, carenza , etc, che proprio grazie alla proiezione assolve ad una funzione di compensazione più che verosimile, così come non nomina la fondamentale differenza tra Leibniz e Newton proprio su tale calcolo infinitesimale, laddove per il primo i fenomeni e la stessa essenza umana erano ascrivibili ad una una sorta di “forza viva” (vis viva ) che ha più a che fare con la reazione e in qualche modo il tentativo di padroneggiare il cambiamento epocale dell’introduzione della macchina, da parte dell’uomo e ingenererà quella reazione alla massificazione rappresentata dall'Illuminismo, mentre il secondo, che era più fisico e meno filosofo, tendeva a stabilire relazioni di grandezza e velocità tra uno o più punti, che lui chiamava flussioni, e dal cui calcolo, di tali “flussioni” che poi vennero chiamate “derivate” si può prendere l’antefatto della piena riuscita di quel cambiamento di soggetto referenziale di essenza del mondo, che la Rivoluzione Industriale realizzerà tra uomo e macchina. Si tratta a ben vedere per entrambi di maneggiare un infinito potenziale, ma per ognuno dei due ecco che si prestava a individuare un potenziale infinito interno o un potenziale infinito esterno, ognuno con una sua particolare inclinazione e che in correlazione coi grossi cambiamenti che la Rivoluzione Industriale stava ingenerando, produrrà immediatamente degli effetti di significazione : da una parte quella di Leibniz, che è come si è fatto cenno, può ascriversi tutto il movimento filosofico dell’Illuminismo (il secolo dei lumi) dall'altra quella di Newton che rappresenta invece quel meccanicismo che riuscirà compiutamente a trasferire l’indice di riferimento generale di essere al mondo dall'uomo alla macchina, ovvero dall'interno di sé, all'esterno di se’ Ora come è noto, la storia scientifica ha deciso a favore del secondo , superando con relativa facilità la stimolante idea dell’Illuminismo, eppure intorno all'inizio del XX secolo cioè più di trecento anni dopo, la teoria della relatività di Einstein afferma che in ogni oggetto materiale c'è una energia intrinseca che dipende dalla sua massa e dal quadrato della velocità della luce, la celeberrima formula E = mc2. sembrerebbe quindi che Leibniz abbia intuito e prefigurato la teoria della relatività , con la sua "vis viva" alla quale aveva dato un indice mv2, ovvero massa per il quadrato della velocità identificandola appunto come energia vitale comune a tutti i corpi materiali e spirituali ; e non è solo Einstein che Leibniz con questa sua intuizione di forza univoca di spirito e materia, appunto questa vis viva, ha anticipato, ma tutte le formulazione della Fisica Quantistica, da Maxwell a Bohr a Heisenberg , Scrhodinger , Bell, Dirac , Feynman etc. introducendo quindi nella fisica teoretica un qualcosa che mai e poi mai sarebbe stato concepibile con Newton, ovvero che la psiche umana, non solo la coscienza ma anche un inconscio, si proprio quello scoperto per indizi di significazione da Freud, abbiano una parte fondamentale nella comprensione delle problematiche relative all'osservazione dei fenomeni quantistici stabilendo una interazione tra chi osserva e ciò che viene osservato. Qual è la tesi del presente scritto, dedotta dal saggio citato ? Che gli storici, o meglio i cronachisti francesi di quel biennio 1796/97 abbiano di proposito utilizzato il calcolo infinitesimale di Leibniz, con tanto di derivate costituite da numeri immaginari (nel senso di proiezioni di numeri negativi ) integrando quella leibniziana “Vis viva” con il generico “spirito di avventura” che l’autore del saggio poneva a generico e irrazionale motore del movimento e cambiamento dei concreti eventi e fatti reali. Quasi casualmente o perlomeno sul concorso di varie circostanze fortuite, questo tipo di calcolo tra il reale e l’immaginario, si sarebbe andato appuntando su di un singolo personaggio, neppure troppo dissimile da altri: un giovane generale, quando la giovane età era più una norma che un’eccezione tra i quadri militari venuti  a formarsi con la rivoluzione, con al suo attivo un’efficace operazione di polizia (la repressione di una insurrezione realista alla Chiesa di san Rocco), e la fama di essere abbastanza esperto di movimenti di artiglieria (4 anni prima nella presa di
Tolone e del forte dell’Eguilette), ma soprattutto la riconoscenza di uno dei più influenti membri del Direttorio Paul Barras del quale sposandone la ingombrante amante Josephine De Beauharnais gli aveva tolto una enorme preoccupazione e ne aveva avuto, da questi proprio il giorno del matrimonio 2 marzo 1796, un eccezionale regalo di nozze: il comando dell’Armée d’Italie. Ora francamente non ce li vedo i compilatori delle cronache nelle vesti di “piccoli Leibniz”, ma il punto è che determinate scoperte finiscono per entrare nelle menti delle persone, così del tutto impercettibilmente, e anche i più astrusi ragionamenti matematici finiscono per entrare a far parte delle sensibilità delle genti; così quella generica sostituzione di paradigma referenziale tra l’uomo e la macchina che aveva già prodotto la reazione intellettuale dell’illuminismo e quella della violenza sanguinaria della rivoluzione francese, andava sempre più abbisognando di una razionalizzazione che chiedeva urgentemente un salto di fantasia, non più per un intero collettivo ma per un singolo che potesse rappresentare l’esigenza di novità forzando i dettami di una realtà che abbisognava che si conformasse a parametri di eccezionalità, di quasi totale contrasto tra reale e immaginario. Proprio come una macchina, i cui pezzi si possono cambiare, sostituire, riassemblare , anche l’uomo, questo Homo Novus non più rappresentante della sua essenza ma con di volta in volta espropriato a favore di una sua continua riproposizione  deve conformarsi alle stesse esigenze ed è parimenti importantissimo, anzi fondamentale che tali peculiarità vengano rese ben evidenti, palesate continuamente, ostentate: nasce dall'immaginario, la pubblicità dell’uomo e della sua azione, del tutto simile a quella di un qualsiasi altro prodotto. L’uomo diventa equiparabile non solo ad una macchina, ma anche ad una merce . Tutto si costruisce, tutto si cambia, tutto si vende e tutto si compra Napoleone Bonaparte è in tal senso una sorta di prototipo: le sue peculiarità sono da manuale: piuttosto oscuro, venuto dal nulla, poca distinzione, persino un fisico non aitante, di bassa statura, e caratterialità introversa, ombrosa;  di converso però una fortissima  disponibilità al compromesso, ambizione sfrenata, pochi scrupoli, nessuna preoccupazione del futuro, ma tutto orientato al successo immediato, ecco la quintessenza di quel che serviva in tempi come quello di post rivoluzione per porre una fine costruita, diremmo oggi virtuale e non reale,  ad un qualcosa che deve essere ricondotta nei dettami della normale quotidianità. Nasce la pubblicità e nasce altresì la spettacolarizzazione di un evento che l’uomo deve interpretare come un attore interpreta una parte, ed ecco difatti che con la Rivoluzione industriale cominciano a delinearsi oltre questa figura, diciamo così incanalante, anche tutta una serie di altre figure che lo sostengano : scrittori, giornalisti, biografi, estimatori, ma anche oppositori e critici, e vere e proprie entità, che diverranno  i cosidetti mass media. Benvenuti quindi  nella nostra era moderna e benvenuti anche in quest’era contemporanea che però con l’esasperazione di alcuni suoi meccanismi ha portato al parossismo il meccanismo del calcolo infinitesimale di Liebniz , dove non possiamo più parlare di “vis viva” ma di totale controllo da parte delle  classi dominanti  e quindi un reiterato attacco alla Libertà individuale, attacco che avrà di volta in volta le peculiarità di maggiore controllo delle masse attraverso  il meccanismo  della falsificazione e della mistificazione e vieppiù quello di un continuo stato di paura, cui la stragrande maggioranza delle masse va mantenuta : paura che un tempo poteva essere mantenuta con un impianto di punizione divina, ma che ora abbisogna di un qualcosa di più riscontrabile anche se con i medesimi meccanismi di astrazione e di in-definizione : uno stato di salute continuamente compromesso dall'emergere di quel fantasma della malattia e del contagio, cui solo l’affidamento ad un qualcuno che si avoca la responsabilità di gestirlo ne potrà assicurare la cura e la guarigione Ne sono manifestazioni : l’eccessivo scollo tra realtà e immaginazione, un consumismo sfrenato con mercimonio dilagante, personaggi sempre più mediocri che cercano di avocarsi le caratteristiche che un tempo erano peculiarità di uno solo o pochissimi, democratizzazione delle derivate immaginarie, tentativi di superamento del confine tra reale e immaginario con fini di asservimento della maggioranza della popolazione ai dettami di pochissimi, come stiamo in questo preciso momento subendo (2020) e i cui tratti ispiratori non riposano nella realtà, ma nella letteratura fantascientifica di tipo apocalittico alla Orwell, alla Huxley, alla Breadbury. 
Sul principio del “recitare una parte” è  importante realizzare la ricostruzione tutta virtuale di un personaggio fuori le righe, costruito a bella posta con tratti  quasi sovrumani,  ma opportunamente scelto  dalla compagine meno rappresentativa della Società, sicché ognuno nel suo uniformarsi a questi ne avrà per così dire quasi un ritorno in termini di possibilità : una democratizzazione  dell’eccezione : i 5 minuti di celebrità di cui tutti secondo Andy Wharol hanno diritto, in questa nostra era di ipercapitalismo di sfrenato  consumismo, dove all'era delle macchine è subentrata l’era delle apparecchiature informatiche e cibernetiche;  non più il braccio, le mani,  il corpo, la fatica fisica, ma lo stesso pensiero umano, la mente, divengono l’oggetto dell’espropriazione. L’operazione  ha una origine, una prima volta e seguiamo lo storico Guglielmo Ferrero  che ci fa appropinquare a quel marzo 1796 in cui il Generale Napoleone Bonaparte con quel po’ po’ di regalo di nozze  del comando dell’Armata di Italia  giunge  alla tenda del comando  a Nizza , ricevuto dai tre generali che fino a quel momento si erano divisi il comando delle operazioni , tre generali di molta più esperienza della sua : il savoiardo André Massena 43 anni ex sottufficiale dell’esercito savoiardo , alto aitante, volitivo, salito velocemente di ruolo e di grado con a rivoluzione e all'attivo parecchi fatti d’arme che lo gratificavano già allora dell’epiteto di “Invincible”,  il Gen Charles Pierre Augereaux 39 anni di Parigi nato nella popolare strada di rue Mouffetard ex soldato ed ex disertore per aver ucciso in duello un ufficiale, soldato di ventura di vari Regni, tra cui anche quello dei Borboni napoletani,  era ritornato a Parigi durante a Rivoluzione e si era arruolato come Sergente nella Guardia Nazionale per poi salire velocemente i gradi di ufficiale dell’esercito nella repressione della rivolta della Vandea e venir nominato Generale a 36 anni, il Gen. Jean Mathieu Philibert Serurier  54 anni , l’unico proveniente da una regolare carriera militare di ufficiale,  essendo di  provenienza dalla piccola nobiltà:  aveva partecipato alla guerra dei 7 anni e a campagne in Hannover e Portogallo, oltre ad aver preso parte ad operazioni contro Pasquale Poli in Corsica , l’idolo di gioventù di Napoleone; all'inizio della Rivoluzione aveva il grado di Maggiore e nel ‘93 veniva promosso Generale . Tutti e tre come si vede, avevano molti più titoli ed esperienza  del giovane Generale Corso e difatti lo avevano accolto non propriamente con rispetto, voltandogli  sprezzantemente le spalle,  o perlomeno questo è quel che è passato alla storia e che  viene riportato in un film che per molti versi rappresenta una specie di inverazione filmica del processo di creazione del personaggio:  NAPOLEON.  In tale film difatti molte delle scene paradigmatiche che avevano costruito il mito del generale Nessuno divenuto il generale Meraviglia, sono riportate fedelmente; fedelmente si, ma non alla realtà, bensì a quell'immaginario con il quale si sarebbe dato inizio al mito, non ultima questa scena  appunto dell’ingresso del giovane generale nella tenda comando  con i tre sopracitati generali ripresi appunto di spalle . Cosa succede ? ecco che si vede Bonaparte  scaraventare la sciabola sul tavolo costringendo i sottoposti a voltarsi e quindi fissarli , uno alla volta diritto negli occhi,  fino a imporgli di levarsi il cappello. Siamo nella quintessenza di quando un film che dovrebbe interpretare la storia si fa esso stesso storia: Napoleon  di Abel Gance che doveva consegnare alla Settima Arte la ratifica di un mito così come era pervenuto  da quel meccanismo di esaltazione  messo in evidenza dallo storico Guglielmo Ferrero, è forse il  film  più mancato della storia del cinema,  difatti, essendo tale film del 1927, la diffusione del sonoro ne bruciò  il colossale potenziale di successo e diffusione  :  forse proprio a causa di questo mancato, in questa sua riproposizione  dopo oltre mezzo secolo lo scenario di ambientazione era quanto mai  caricato:  da un triplo schermo a  Massenzio, in piena atmosfera di quell'Estate Romana voluta dal sindaco Argan e dell’Assessore, nonché amico personale di chi sta scrivendo queste note,  Renato Nicolini che mi aveva convocato, conoscendo la mia passione e discreta competenza di cinema, per chiedere un parere su cosa ne pensassi di quel film;  io capirai con la mia sempiterna cultura per il “mancato” mi ero prodotto in un vero e proprio

panegirico, tanto più che c’era la concretissima possibilità che venisse a presenziare lo stesso regista Abel Gance, oramai novantenne, che per come erano andate le cose su quel capolavoro per differita, si collocava in pieno in tale spirito. In effetti quel film, Napoleon aveva tutte le peculiarità di quel grande mancato di cui spesso, opere, persone, eventi, addirittura città e civiltà, sembrano venire intessuti. Realizzato con grandissimi mezzi intorno al 1927, doveva oscurare tutti i grandi colossal usciti fino ad allora, era però apparso, come e’ stato accennato,  sugli schermi proprio quando la provocante voce di Al Johnson disse la famosa frase “Signori non avete ancora sentito nulla!”.  Lo disse Groucho Marx “un film è assai meglio della realtà” , così era anche quel film, per concezione, ampiezza di vedute, tecnica cinematografia con dissolvenze incrociate, carrellate fantasmagoriche, effetti di fotografia, uso di viraggi in relazione alle scene.. “pensa” avevo detto a Renato Nicolini “ non è affatto vero che Estasi con Hedy Lamarr è stato il primo film dove si vede un seno nudo di donna, nella grande festa del ballo per la fine del “terrore” di Robespierre e Sain-Just, c’è una scena di ballerine che danzano tutte allegramente a busto scoperto. Ora Abel Gance novantenne era lì in prima fila, nelle poltrone di Massenzio, omaggiato da tutte le autorità e anche dal sottoscritto, che era in fibrillazione nello stringere la mano ad un simile “campione” del mancato, questa volta non tanto alla storia, quanto allo spettacolo, ma, che questa volta, la realtà gli aveva dato la sua rivincita. L’entusiasmo del pubblico alla rappresentazione, i tre schermi con i riflettori che sul finale dividevano la luce nei colori della bandiera francese, manco a dirlo con la musica della “Marseillese”, furono qualcosa di epocale, in quella splendida notte romana.
Lo vedi che strano, la realtà a volte concede qualche rivincita, ho detto sempre che forse noi sulle generali viviamo un po’ troppo e che per lo più siamo destinati ad essere superati dalle cose del mondo, ma di certo il vecchio Abel Gance quella sera non sarebbe stato del mio stesso avviso, glielo si leggeva negli occhi di vegliardo, dove si intravedeva il lampo dell’orgoglio di aver fatto un qualcosa che, d’accordo , il botteghino e quindi lo spettacolo in genere, aveva condannato come fallimento, ma non all'oblio. Lo ripeto fino a pochissimo tempo fa nessuno mi avrebbe convinto del contrario, il film che in quel fantasmagorico scenario ci  incollò tutti a fronte di quel triplice schermo, ove come un fantasma aleggiava  in una sorta di dissolvenza tra realtà e immaginario  la veneranda figura del suo autore, in poltrona d’onore lì nella rappresentazione,  ma anche  ben dentro l’immagine filmica  nella accattivante parte che si era scelto del  terribile “angelo della morte” Saint Just.  
L’attore che impersonava Napoleone nel film Albert Dieudonné era perfetto nella parte, si ma quale parte? quella che la storia ha voluto tramandarci, ma non certo quella della  realtà dove  un ubbidientissimo  giovane generale  praticamente con un quasi nullo curriculum,   si accingeva goffo ed impacciato a recitare appunto la parte di esecutore di un piano che aveva ben altri ideatori e di certo  del tutto inconsapevole di quello che un mélange di caso,fortuna, necessità, e anche fortuna gli stava apparecchiando, e che magari qualcuno avrebbe chiamato storia ;
 a pensarci bene è sempre un pò così! non è forse vero che siamo sempre costantemente superati dagli eventi che dobbiamo vivere?, la nostra stessa struttura anatomica è congegnata di tal fatta, abbiamo gambe per camminare e alla bisogna, correre, verso dove? verso qualcosa, braccia per cogliere…mani per afferrare e un cervello per pensare…prima: pro-tendersi, pro-gettare, pro-porre…. tutto quel benedetto “pro” che guarda un pò è giusto il prefisso del nome di quello che ci ha fatto questo regalino: il mitico Prometeo, dove quel “pro” è unito alla forma “methes” del verbo “mantano” = io penso: e quindi Prometeo è “colui che pensa prima” in anticipo, proprio come cerchiamo di fare noi. Eh già, ma su cosa è fondato tutto questo “pro”? su di un furto! un furto agli dei, che permalosi come sono non l’hanno presa per niente bene, e a parte i risvolti più o meno truculenti verso l’autore di quel furto (roccia del Caucaso, catene, aquila che rode il fegato) e anche verso di noi (il taglio che separa l’essere umano, prima “amphiteroi in due parti distinte (dia-boliche) blandamente spinte dal dio Eros alla ricongiunzione (simbolica), hanno fatto in maniera che noi fossimo appunto costantemente superati dalle cose che desideriamo; per questo forse i latini hanno coniato la parola desiderio (de sidera) ovvero essere intorno, dalle parti, nei pressi, nei paraggi di dove dimorano le stelle che non sono affatto fisse, anzi per il solo dato di presentarsi alla nostra vista, esse debbono essere già estinte da milioni di anni. Paradossale dunque che il vecchio Abel Gance abbia avuto il suo “successo” cinquanta  e passa anni dopo, ma anche paradossale che noi comuni mortali siamo sempre lì a combattere con le cose del mondo e l’unico modo per impadronircene veramente è forse quello del ri-assumerle, non nella realtà , ma in una sorta di immaginario, dove, come la riedizione di Napoleon a Massenzio, quello che conta, non è come siano andate veramente le cose, ma come le reinterpretiamo noi, come ri-mettiamo il tutto insieme , ovvero con una operazione “simbolica”. Ordunque a parte le scene della tenda con la sciabola sbattuta sul tavolo e probabilmente anche il famoso discorso, ben illustrato nel film,  che il nuovo Generale tenne alle truppe “ Soldati siete laceri e malnutriti. Il governo vi deve molto, e non può darvi niente. La vostra pazienza, il coraggio che mostrate in mezzo a queste rocce, sono ammirevoli, ma non vi daranno la gloria …. Io voglio condurvi nelle più fertili pianure del mondo. Ricche province, grandi città saranno in vostro potere. Vi troverete onore, gloria e ricchezze. Soldati d’Italia, mancherete dunque di coraggio e determinazione?». Cosa fa il nuovo Generale  appena arrivato? Esegue alla lettera il Piano che il Direttorio aveva  ricalcato sulle Mémoire de l’Armée D’Italie, redatto l’anno precedente, da un gruppo di giovani generali di cui anche lui aveva fatto parte, uno dei tanti, non certamente il più importante , soprattutto non quello che sarebbe stato destinato a eseguirlo. Si è fatto cenno a questo Piano ora è il momento di approfondirlo un tantino :  sotto il profilo tattico, il primo obiettivo doveva essere la città e fortezza di Ceva che doveva essere attaccata  da due lati delle forze d’Armata, la prima lungo il Tanaro, la seconda  da Savona, per poi proseguire nella direttiva di separare le forze austriache da quelle piemontesi e procedere verso la Lombardia . Le linee strategiche per l’Armata del Piano del Direttorio, però non riposavano in Italia, ma prevedevano l’invasione della Germania  attraverso l’Italia,  e Napoleone esegue alla lettera le disposizioni :  fissa il suo Quartier Generale d Albenga ed comincia col volgere la sua attenzione a Ceva, primo obiettivo posto appunto dal Piano e la riprova è data dal suo recarsi  il 9 aprile 1796 nella Valle del Tanaro per parlare con Serurier che comandava quel settore, neppure prendendo  in considerazione una offensiva dalla parte di Montenotte, dove si badi bene sarà trascinato a reagire non operando da attaccante, ma da attaccato: attaccato  dall'ala sinistra dell’esercito austriaco che riusciva a sorprendere i francesi conseguendo alcuni vantaggi territoriali in direzione  del colle di Cadibona e Savona: così crolla uno dei miti più inossidabili della aurea napoleonica : che lui sia arrivato e paffete come d’incanto successi a ripetizione : Dego, Millesimo, Cairo Montenotte. In verità furono gli Austriaci a dare inizio alla Campagna d’Italia in quell’aprile 1796  e le controffensive che  portarono alla vittoria di Cairo Montenotte il 12 di aprile,  furono merito non tanto di Bonaparte quanto  dei Generali Massena e Leharpe che erano accorsi prontamente. Altro particolare spesso sorvolato dagli storici, specie quelli meno approfonditi e anche il nostro famoso film Napoleon, (che su queste prima battaglie della campagna d’Italia, chiude  la sua visione, facendo aleggiare sullo schermo tricolore, lì a Massenzio, un’aquila volteggiante a simbolo della gloria , lasciando intendere di voler continuare la narrazione in una parte successiva) , fu che  subito dopo la vittoria di Cairo Montenotte, Napoleone ritornò al piano originario del Direttorio, ovvero l’attacco di Ceva e quindi lasciò  lo scontro cogli austriaci per preferenziare quello coi Piemontesi;  fu addirittura ipotizzato che Bonaparte disubbidì al Direttorio  nel non continuare lo scontro verso gli austriaci, ma è una di quelle, diremmo oggi fake news da manuale : il Direttorio  non aveva mai ordinato a Bonaparte di inseguire gli Austriaci  ed anzi aveva tassativamente ordinato di non fare alcun movimento se non prima di aver occupato Ceva. Nei giorni seguenti Napoleone  operò contro i due eserciti,  quello austriaco che era stato sconfitto a Cairo Montenotte e quello piemontese che presidiava Ceva e la valle del Tanaro, su più direzioni,  nei combattimenti un po’ altalenanti di Dego, Millesimo, dove alla fine i francesi finirono  per avere la meglio e solo quando fu  tranquillo rispetto agli austriaci, il 16 aprile  si girò  verso Ceva prendendola d’assalto, ma venendo sanguinosamente respinto . Ora va sottolineato come tale ultima operazione, appunto l’occupazione della fortezza  di Ceva, ha sempre fatto storcere il naso agli storici, specie quelli agiografici di Napoleone:  difatti attaccare di petto un campo trincerato, anche se era espressamente e tassativamente stabilito dal Piano del Direttorio, non è propriamente una di quelle azioni che un buon generale, figuriamoci uno che diventerà Napoleone, farebbe mai, per cui tutti si sono chiesti  come sarebbero andate le cose, se il giorno seguente Colli il comandante in capo dell’esercito piemontese  avesse difeso la città? Cosa aveva portato Colli ad abbandonare il campo trincerato ed evacuare la cittadina  lasciandovi solo una piccola guarnigione che sarebbe capitolata pochi giorni dopo, facendo di fatto i francesi padroni del campo senza ferire??? Ecco qui si entra in un campo appunto dove storia e fortuna si confondono, ma anche lasciano uno spiraglio di “altra” necessità che forse risente di fattori che nessun piano precostituito può prevedere. Fortunissima ovviamente per il giovane Generale che si trova questo inaspettato regalo e per la prima volta va parzialmente  contro le direttive di Parigi non rimanendo a Ceva, ma inseguendo il nemico. Il punto è che alcuni documenti ritrovati anni dopo, mostrano che le direttive del Piano del Direttorio non erano poi così assolute, si legge difatti in una di queste “Istruttorie” : “ il Direttorio  lascia al Generale in capo la libertà  di dirigere le operazioni sia che ottenga vittoria completa , sia che il nemico si ritiri verso Torino e l’autorizza a dar ancora battaglia, fino a bombardare la capitale,   se le circostanze rendessero questa azione necessaria “. Come dice giustamente Ferrero si ravvede il linguaggio ovattato del Direttorio,ovvero non ordinare mai, non imporre alcunché, ma sempre proporre, suggerire, consigliare, spingere cioè il generale ad ardire, ma senza forzarlo si dal non rimanere coinvolto in una sconfitta, sconfitta che 2 giorni dopo il 19 aprile doveva puntualmente arrivare in una forte posizione che proteggeva la ritirata delle truppe di Colli, quella di San Michele; nessuno, o quasi,  ha mai sentito nominare questa battuta d’arresto nella trionfale marcia dell’Armée d’Italie e del suo giovane generale, che pure fu  addirittura più grave di quella di Ceva,  tanto da costringere il Bonaparte a convocare il Consiglio di guerra. Però a questo punto, la riesamina dei fatti puramente militari:  vittorie, sconfitte, assalti, inseguimenti , battute d’arresto, deve caricarsi di qualche altra valenza ed  andare un po’ più a fondo di quella  generica indicazione di fortuna che starebbe lì a fare da rimpiattino tra caso e necessità. Come mai Colli comandante dell’esercito piemontese si comportò in maniera così contraddittoria:  respinge il nemico, lo vince addirittura, ma non ne approfitta, anzi si ritira abbandona campi trincerati e però si assicura la ritirata sempre rintuzzando gli attacchi, come successe ancora il 21 aprile a Mondovì vicinissimo Torino;  d’accordo questa volta le cose andarono un po’ meglio per i Francesi, ma non impedì comunque a Colli e l’esercito di raggiungere Cherasco il 24, giusto ove dopo velocissimi preliminari, il 28 aprile la corte sabauda di Torino  richiedeva  un armistizio per negoziare una pace separata con la Francia, il tutto con  l’esercito austriaco appena  a due giorni di marcia da tale cittadina. Cosa c’ è dietro questo contraddittorio comportamento  dei Piemontesi, del suo esercito e generale in capo, e del suo Re? Ripetiamo che gli storici specie quelli di marca napoleonica, quelli che come il nostro regista Gance, hanno contribuito a diffondere il mito del generale infallibile, vero grande genio sia tattico che strategico, l’unico dell’era moderna paragonabile ad un  Cesare, ad un Mario, ad uno Scipione, ad un Alessandro, sono sempre stati particolarmente imbarazzati nel descrivere le fasi di questa improvvisa richiesta di armistizio da parte del Regno di Sardegna ad una Francia la cui Armata non ne aveva mai seriamente impegnato le sue truppe:, Colli non era mai stato battuto in campo aperto,  il suo esercito non era affatto disfatto e neppure  era stanchissimo come i manuali di storia oramai riportano con quasi monotona  litania;  anzi se vogliamo essere franchi, erano i francesi ad essere molto più stanchi . Si deduce quindi che la Corte di Torino non chiese la pace perché non poteva, ma semplicemente perché non  voleva più, combattere. Politica non strategia.In verità se si va un po’ più sul profondo si evince che quell'alleanza con l’Austria, al Regno di Sardegna non era andata mai giù, fin dalla sua stipulazione nel dicembre 1795: i motivi che l’avevano  indotta erano sul proseguo della coalizione contro la Francia rivoluzionaria che giustappunto in quel periodo  era in procinto di attaccare in Italia con la sua Armata apposita, anche se in verità con un compito di solo passaggio per prendere alle spalle la Germania e congiungersi colle truppe impegnate sul grande fronte austro-tedesco, che erano sotto il comando del Gen. Moreau un Generale di grande esperienza e con un notevole curriculum di battaglie e vittorie , non certo uno sconosciuto novellino come Bonaparte. L’arrivo in Piemonte di un contingente austriaco di 10.000 uomini comandate dal Gen Beaulieu era stato quindi visto a Torino  come un protezione dalle mire francesi , ma quando questi aveva attaccato appena pochi giorni dopo l’arrivo del nuovo comandante appunto il Gen.Bonaparte, (ecco una cosa che troppo spesso non viene sottolineata adeguatamente : non fu Napoleone a iniziare la campagna d’Italia, sul proseguo, magari del famoso discorso alle truppe  del “siete laceri e mal nutriti” ma furono gli Austriaci) Austriaci che dopo una serie di scaramucce di poca importanza, furono duramente battuti  “a Cairo Montenotte, come abbiamo visto,  più dal Gen. Massena e dal suo diretto sottoposto gen Leharpe che da Bonaparte in persona. Ebbene dopo questa battaglia, la fiducia  nell’alleato era decisamente crollata alla Corte di Torino, tanto da dare disposizioni a Colli il comandante dell’esercito savoiardo  di non difendere Ceva e intraprendere piuttosto una ritirata strategica per riportare le truppe verso Cherasco dove la diplomazia stava già  ordendo un armistizio separato con la Francia. Una sola battaglia di una certa entità persa dall'alleato e una ritirata strategica effettuata peraltro magistralmente dal Gen.Colli, tanto erano bastati al Piemonte per chiedere un armistizio e di fatto ritirarsi dalla guerra . Detto per inciso va a anche rilevato che il Bonaparte  per inseguire l’esercito nemico aveva allungato enormemente le sue potenzialità logistiche (riserve, magazzini, salmerie, vettovagliamento, etc)  e quindi l’Armata era davvero in condizioni miserevoli, molto molto di più dei Piemontesi;  ma qui ecco,  siamo in presenza di quell'ineffabile della storia che è la Fortuna:  Fortuna che Colli non contrattaccasse e fortuna anche che Beaulieu non approfittasse dello stato dell’Armata francese  per scagliarvisi contro con tutto il suo esercito. La Fortuna a volte arriva nella congerie degli eventi umani e si può più o meno afferrarla e coglierla , i greci antichi parlavano in tal senso di “Kairòs”, che tradotto suona un po’ come “il tempo opportuno “ correlandovi la figura del tiro con l’arco e il raggiungimento del bersaglio da parte della freccia;  ecco diciamo che il Generale Bonaparte mostrò finalmente una delle sue innegabili doti:  saper cogliere il momento più opportuno, schierarsi dalla parte della Fortuna, che nell'immaginario collettivo, ma anche storico e persino avallato da lui stesso,  ha un “ “topòs”  preciso : il ponte di Lodi.

mercoledì 25 ottobre 2023

MAI COI FRAMASSONI

 

Ma quale “Fratelli d’Italia” !!!! mai epiteto fu piu’ sbagliato e tutto sommato odioso : no per carita’ non in quanto scorretto o falso rispetto alla storia, anzi c’e’ da dire che in realta’ esso ne riflette appieno lo spirito e anche l’intenzione di quello che fu il processo di unificazione nazionale. Fratelli d’Italia ripreso da una brutta canzone con ancora piu’ brutto testo  mostra subito il suo riferimento ai “framassoni”  delle logge inglesi che in quella meta’ dell’ottocento si erano gia’ cominciate a diffondere nelle Colonie americane ancor prima della famosa indipendenza del 1776 e la costituzione in Stati Uniti d’america, che nella mentalita’ massone rappresentavano in nuce quella “isola piu’ grande” che sarebbe stata destinata a raccogliere il testimone dello spirito commerciale anglosassone, chiamiamolo anche bottegaio, e svilupparne le istanze in senso di predominio sul resto del mondo, come lucidamente individuato dal filosofo e geo-politico Carl Schmitt nel
suo saggio “Terra e mare” , di cui in questo e altri correlati blog del sottoscritto,
  si e’ parlato diffusamente. Gli Stati Uniti come eredi o continuatori del testimone dell’elemento liquido, ovvero quel  senza confini, senza stanziamento e  senza limiti della parabola commerciale  inaugurata dalla Regina Elisabetta  nel XVI secolo, che sara’ perseguito nel corso dei secoli successivi con ulteriori punti di forza tipo il tecnicismo della Rivoluzione Industriale o anche la costituzione di influenti sette di cui la piu’ rilevanti resta la Massoneria, non a caso coeva alla accennata rivoluzione industriale,  in grado di incanalare le scelte  di un Governo succube anche esso dell’indirizzo commerciale ed economico del Paese.
Oltre alle Colonie americane viste come futuro trampolino di ulteriore slancio di tale indirizzo che possiamo tranquillamente denominare “spirito” la massoneria di formazione inglese ma di ispirazione ebraica comincio’ a diffondersi anche nell’Europa continentale che a rigore avrebbero dovuto rimanere refrattaria alla suggestione
  dell’elemento liquido del mare come elemento di propulsione di un commercio senza il freno dello status di terricolo ovvero leggi, tradizione, spirito di appartenenza, così come individuato da Schmitt. Cio’ non e’ avvenuto in primis in Francia  tanto che notiamo le varie diramazioni delle loggi inglesi in Logge proprio nell’evento piu’ rappresentativo di questa Nazione, la famosissima ed epocale Rivoluzione Francese, finanziata e soprattutto condotta e diretta con assoluto protagonismo  da illustri framassoni correlati alla Loggia Centrale d’Inghilterra, a cominciare da quel Marchese di Lafayette che era stato braccio destro del Gen. Washington durante la guerra
d’indipendenza
 delle Colonie americane (manco a dirlo entrambi massoni dei piu’ alti livelli) che aveva trasfuso di poi il suo impegno nel suo Paese d’origine specie nella prima parte della Rivoluzione  per fare emergere altri personaggi di diversa ideologia, ma tutti accumunati dall’appartenenza alla massoneria : Marat, Danton,  Robespierre, Saint Just e persino quel Paul Barras che riusci’ a far transitare la rivoluzione dal “Terrore” ad una quasi pacificazione, inventandosi e creando dal nulla il personaggio Napoleone Bonaparte, sulle prime massone anche lui, ma poi con il crescere della sua “parte inventata” divenuto un apostata e nemico dichiarato dell’Inghilterra, la perfida Albione di cui fu tra i primi a disvelare il suo spirito bottegaio. La Francia così come l’Italia non e’ un Paese che Schmitt avrebbe collocato tout court tra le potenze di terra, ovvero solidita’ sacralita’ dell’elemento solido, tradizione di costumi e di idee, così come nel corso del XIX secolo si mostrarono i Paesi teutonici e anche la Russia, e difatti la sua posizione rispetto al commercio e la mentalita’ bottegaia era stata ambigua sia con i Re, sia nel periodo della Rivoluzione e della Restaurazione dopo la parentesi napoleonica, logico e naturale quindi che anche in Italia la Massoneria andasse diffondendosi prendendo come scusa il nazionalismo e l’esigenza di addivenire ad una unita’ nazionale invero assai fumosa, ma ben chiara come interessi economici ai piu’ rilevanti esponenti della massoneria tipo la famiglia ebraica dei Rotschild .
Finanziare i vari moti rivoluzionari e soprattutto l’entrata in guerra contro l’Austria del Re di Sardegna Carlo Alberto fu un tutt’uno e i Rotschild lo fecero attraverso uno dei loro piu’ solleciti servitori, il Conte Camillo Benso di Cavour personaggio spregevole, pronto a qualsivoglia compromesso pur di raggiungere i propri fini apparentemente libertari, ma che in realta’ coincidevano ala perfezione alla ambizioni massoni e
 dei vari Governi inglesi,  che dopo la sostanziale messa in ombra del principio talassico del periodo della Restaurazione, grazie alla lungimirante e efficacissima azione del principe Metternich il cancelliere dell’Impero Asburgico, non aspettavano altro che tornare in azione sfruttando qualsivoglia occasione per seminare zizzania tra i popoli e fomentare sommosse, rivoluzioni, guerre. Così era stato nel 1848/49, ma per fortuna le forze tradizionali erano riuscite a sconfiggere su tutti i fronti le varie provocazioni grazie proprio ad una alleanza tra le forze di terra degli ultimi grandi Imperi europei  (Austria e Russia) Purtroppo appena pochi anni dopo questa solidarieta’ e alleanza verra’ a mancare e la Perfida Inghilterra  riuscira’ a coalizzare i propri servitori (la Francia con un improbabilissimo e anche patetico tentativo di ritorno del Napoleonismo, lo Stato di Savoia non piu’ con il medesimo Re, ma sempre con il piu’ vile dei servitori quel Camillo Benso di Cavour) una compagine micidiale che riusci’   a mettere in scacco una delle grandi potenze di terra la Russia nella guerra di Crimea e la presa di Sebastopoli (1855)  e quindi ad avere campo libero per tornare alla carica nel processo di dissolvimento della tradizione europea. La nascita della Nazione Italia nel 1861 va ascritta proprio a questo tipo di processo, tutto a favore dell’elemento liquido talassico e di dominio del denaro, ovvero di diretta derivazione  dello spirito bottegaio anglosassone e oggi statunitense mentre Fratelli d’Italia non e’ altro che uno slogan dal chiaro riferimento massonico.
Ci dobbiamo quindi stupire che la sua premier che pure ci ha liberati dalla schiavitu’ della sinistra e dei suoi lacche’, si sia fatta a sua volta lacche’ del piu’ potente referente di dominio , quello spirito bottegaio cui tutti i soggetti finora esaminati siano essi di destra o di sinistra, fascisti o comunisti,  a tutt’oggi, in attesa di quella quarta via politica che ci dia un vero multipolarismo, sono succubi e piu' che volenterosi osservanti ?

GLI DEI DENTRO DI NOI

  Siamo abituati a marcare la storia con personaggi e eventi , ma sarebbe il caso di concentrarsi  forse di piu'  su modalita'  di r...