venerdì 30 maggio 2025

TERRA, MARE E L'ORIGINE DEL CONTRASTO

 

Terra e Mare , proprio oggi che la tensione tra l'ultima vera potenza di terra la Russia e la naturale  erede della tradizione di mare anglosassone, gli stati Uniti d'America, e' arrivata allo scontro, se non proprio diretto, perlomeno interposto (UE e un Paese esca l'Ucraina),  valgono le  considerazioni di questa dicotomia terra-mare individuata settant’anni fa da Carl Schmitt un filosofo e giurista tedesco, tenuto alquanto in penombra dalla cultura occidentale del dopoguerra con la scusa di essere stato un generico  fiancheggiatore del Regime nazista. C'è da dire che oramai da questo 2025 non siamo piu' sotto la distopia del sistema globalista e bottegaio puro, opportunamente rappresentato da un Presidente degli USA stolido e demente come Biden, dal 20 gennaio e' cominciata una nuova eta' dell'oro il cui aedo Donald trump la scia intravedere un superamento dei motivi di conflitto.  Non e’ la prima volta che affronto tale argomento in quanto recentemente  stimolato

da un saggio di uno dei pensatori che stimo di piu’ :  Alain De Benoist che ha scritto in collaborazione con Julien Freund, un altro pensatore non allineato alla grande menzogna liberalista,  un libro su  tale tematica  che viene riletta  giustappunto approfondendo   quella dicotomia  di Schmitt,  partendo dal saggio titolato “Terra-Mare”
in cui tutta la storia del mondo nella particolare accezione della storica  era interpretata nella prospettiva di una opposizione fondamentale tra nazioni di terra e nazioni di mare  saggio il cui sottotitolo recitava   “una considerazione sull
storia del mondo raccontata a mia figlia Anna” che riassume  in termini estremamente logici  e semplici

 l’evoluzione geo-storico-giuridica del mondo   a partire dalla scoperta dell’America, quindi la fine del XV secolo con gia’ in corso tutta la serie di sconvolgimenti epocali - viaggi, nuovi continenti, invenzioni, commerci, diversi stili artistici, modalita’ differenti di guerre e assedi, financo  pandemie ricorrenti, dopo quella famosissima del 1348, che induce alla domanda “cui prodest” (ieri come oggi)-  che rimandano ad una ulteriore analisi,  quella delle eta’ del mondo di Esiodo da cui siamo indotti  alla considerazione che ci troviamo in piena eta’ dei mercanti o del bronzo, subentrata a quella dell’eta’ dei guerrieri, ovvero l’eta’ dell’argento. L'originalità dell'opera risiede nell'individuazione, da parte dell'autore, della dicotomia Terra-Mare come motore della storia umana ed e’ ovviamente questa la tematica che interessa ai due piu’ recenti pensatori che hanno tanto ispirato anche me: difatti nel loro  breve ed intenso saggio, scritto a quattro mani, affiora l’importanza di tale dicotomia   non tenuti in sufficiente considerazione dai metodi degli storici, anche quelli piu’ raffinati tipo Oswald Spengler o  Arnold Toynbee, ma forse in qualche modo contemplati dai soliti pensatori piu’ fuori del sistema e ostracizzati  tipi Guenon, Evola, Mircea Eliade. In questo mio articolo pero’ riprendo il saggio di Schmitt, ma mi piace commisurarlo non solo al molto piu’ antico sistema ripartito delle “eta’ del mondo” di Esiodo, comune anche a tutte le altre antiche civilta’, ma anche alla mia Bibbia personale di possibile e alternativa interpretazione della storia del mondo, che e’ il saggio di Julian Jaynes “il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza”  Se difatti applichiamo la bipartizione del cervello, con quella sua parte sinistra  preposta al linguaggio articolato tramite condensazione metaforica del significato di una cosa (il famoso confronto per similarita’ “ cosa e’ questo ? -  bhe e’ come …quello”), ed un’altra parte strutturata per trasferimento metonimico di un  significante (“come devo fare  per interagire con…? ) così  come ti viene impartito da una voce allucinatoria che rappresenta il condensato di tutte (o quasi) le situazioni in cui un individuo viene a contatto, ci veniamo a trovare in una situazione ottimale di organizzazione cerebro/comportamentale,  che con tutta probabilita’ ha funzionato per migliaia d’anni e che nella sua indistinzione e fumosita’, la tradizione popolare, una volta pervenuta alla coscienza e quindi ad un Io analogale  sulla base del linguaggio, ha denominato “eta’ dell’oro “ una eta’ nella quale potevano proiettarsi e anche  condensarsi (non dimentichiamo la funzione eminentemente metaforica e quindi di condensazione di significati della coscienza) tutti i miti, tutte le leggende, tutte  le storie, e anche tutte le esagerazioni, che la nuova funzione poteva ritrovare nel suo  percorso. Comincia quindi il racconto, un qualcosa del tutto escluso nella organizzazione della mente bicamerale, che aveva un impianto estremamente pragmatico di adattarsi all’ambiente, un racconto a volte stupendo che si colora dei tratti dell’epica, della lirica, della  poesia e di tutte le condensazioni metaforiche della coscienza. Ovviamente non si puo’ piu’ ricorrere alla metafora aurea per designare  il nuovo periodo e neppure far riferimento agli dei, che restano un qualcosa di molto indistinto, tutt’al piu’ raffigurabile in una altra forma di rappresentazione, quella della parola scritta in primis, ma anche  quella pittorica/visiva, ovvero  statue, idoli, totem, templi, quella musical/emozionale  tipo poesia, anche teatrale. E’ indubbio pero’ che
c’e’ un calo di livello, anche nella presunzione della nuova organizzazione cerebrale e si designa il metallo subito meno nobile. l’argento, per caratterizzare la nuova era  e si indica nella classe “dei guerrieri “  la nuova categoria di protagonisti nella scena del mondo. Sembrerebbe così leggendo racconti, ascoltando musiche e quant’altro che si sia trattato tutto sommato di un passaggio indolore da una era all’altra, per alcuni versi addirittura propizio…ma … ecco c’e’ un ma grosso come una montagna: il passaggio dalla mente bicamerale alla coscienza non ha solo un carattere di minore valore  quale si addice alla differenza tra oro e argento, ha anche un risvolto di estremo sviluppo della crudelta’ umana, che difatti esordisce sul teatro del mondo con guerre, eccidi, massacri, stupri, violenze di ogni genere e si serve di strumenti atti a tale pratica sempre piu’ sofisticati che segnano appunto lo sviluppo delle armi e quindi la dizione di “eta’ dei guerrieri”   per questo periodo di esordio della coscienza e quindi della storia che su di essa e solo su di essa puo’ essere raccontata    Il subentrare dopo due millenni e mezzo di un’altra classe che sara’ caratterizzata da un metallo ancora meno prezioso,  il bronzo e da attivita’ sempre improntate a sopraffazione , violenza , crudelta’,  perseguite solo con maggiore ipocrisia, e’ detta Eta’ dei mercanti ed e’ innescata da una, per buona parte,  inventata o comunque gonfiata in maniera abnorme , pandemia, che in breve  porto’ alla obsolescenza di tutti i valori fino allora perseguiti dal mondo medioevale e nelle sue alterne vicissitudini dalla cosidetta eta’ dell’argento o dei guerrieri.  Quello che bene o male fino a quell’evento era considerato rispondente ai valori della  civilta’ , la tradizione, il senso di un Impero. che salvaguardasse o si rifacesse a tali valori, come ad  esempio il Sacro Romano Impero di Carlo Magno e l’estremo tentativo di un suo recupero e  riproposizione da parte di Federico II di Svevia,  ed ancora la Cavalleria ,  una opera come la Divina Commedia di Dante Alighieri,  lo stile Gotico  delle  Cattedrali con il loro bagaglio di conoscenze e esperienze  da trasmettersi per coralita’,  sono soppiantate  dai  commerci, del valore di scambio , del denaro,  quindi dall’avvento di quella  che in una parola io definisco, non lo nego con un tantino di disprezzo “l’eta’ dei bottegai e dei garzoni”  e che rispecchiano in toto (ecco che prende corpo l’ipotesi di Schmitt)  l’ascesa delle potenze di mare di cui la prima piu’ compiuta espressione e’ l’Inghilterra, soprattutto a principiare dalla Regina Elisabetta detta la Grande, con le forti spinte espansioniste e la formazione di un tutt’altro tipo di  impero, del tipo marittimo/coloniale, sino a passare in  tempi piu’ recenti  il testimone (diciamo dopo la seconda guerra mondiale) agli Stati Uniti che ne hanno preso il posto. Riassumendo possiamo dire che si e' andati da un peggiore ad un molto piu'  peggiore (lo so! non si dice, ma mi sia concesso il massimo della riprovazione su tali passaggi epocali), comunque sia rispetto all'eta' dell'oro che e' l'equivalente all'organizzazione bicamerale, si e'  prodotta una frattura che probabilmente non ha rimedio. Jaynes, tra gli altri  possibili motivi di frattura  - sprofondamento isola di Santorino, invasione dei Dori - probabile riscontro storico di Atlantide e della sua scomparsa - individuava nell'elemento mare la  principale  causa del crollo della mente bicamerale e l'origine della
coscienza e in un popolo specifico i Fenici gli autori pratici del cambiamento epocale e
neuronale  Il mare  e un popolo di navigatori tipo i Fenici,  che costretti in un elemento poco atto a comportamenti catechizzati, pian piano a fronte di sempre nuovi problemi abbiano trovato sempre meno voci allucinatorie  rispondenti alla bisogna e quindi siano stati per cosi' dire, costretti  fare ricorso all'elemento metaforico e non metonimico, applicando la condensazione al proprio stesso io e mettendolo in diretta relazione con il contesto e il comportamento da scegliersi, ecco la principale motivazione della crisi e quindi crollo della mente bicamerale e la necessita' di trovare un sostituto per mettersi in situazione con il contesto  e quindi interagire autonomamente    

venerdì 23 maggio 2025

LA BUFFONATA CHE SI FA SERIA

Fino al periodo precedente la grande farsa della pandemia di covid 19, e detto in termini anagrafici personali arriviamo alla venerada eta' di 72 anni, credevo poco ai vari complotti di Societa’ Segrete, associazioni piu’ o meno esoteriche, massoneria, o meglio non che ne negassi l’esistenza, piuttosto ne negavo la rilevanza, un po’ alla Alberto Sordi in “Un borghese piccolo piccolo” che si fa massone solo per trovare un loculo al cimitero del proprio figlio: diciamocela schietta : un buffonata!  Buona al massimo per il film di James Bond : come la famigerata Spectre e il Dr.NO. Embe’ debbo convenirne : per settanta e passa anni non avevo fatto altro che toppare. Prendiamo ad esempio questa Fabian Society di cui oggi si parla tanto per essere di pertinenza di piu’ di un politico attuale, in ispecie di quelli piu’ coinvolti nel processo di ribaltamento dei valori  tradizionali di tutta la nostra civilta’in nome di un astratto sociale di stampo socialdemocratico e la  entusiastica adesione ad un mondo iper tecnologizzato con i piu’ avanzati mezzi informatici e digitali. Eppure questa Fabian Society non ha dalla sua, moltissima storia come chesso’ i Rosacroce,
le varie Logge Massoniche, la Thule e altre Societa’ piu’ o meno segrete in  quanto nasce meno di centocinquant’anni fa a Londra nel  1884 con uno statuto di semplice associazione, priva di personalità giuridica, cosa che conserva ancor oggi , laddove pero’ come fatto notare,  molti suoi membri  rivestono rilevanti  ruoli di potere e sono molto  influenti e dentro ai sistemi di comando di mezzo mondo…. bhe si citano il Presidente del consiglio italiano Draghi, quello inglese Johnson e quello francese Macron, molti ministri come ad esempio l’impossibile Ministro della Salute italiano Speranza la cui incompetenza e razzaffoneria sono balzati  agli occhi, eppure ancora oggi detiene un posto al parlamento e nessuno lo ha rimosso;  ed ancora ci sono non troppo  velate corrispondenze persino con i principali artefici dell’attuale situazione distopica internazionale, ovvero gli Schwab, i Gates, i Rotschild, i Soros. Ad esempio, il termine Nuovo Ordine Mondiale (New World Order), che abbiamo sentito riecheggiare tante volte in questi ultimi vent'anni, è di loro conio. New World Order è il titolo del saggio di uno dei fabiani più illustri: Herbert George Wells. In questo libro del 1940, a pochi mesi dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, lo scrittore, quattro volte candidato al premio Nobel, vagheggiava un governo mondiale socialista fondato sul primato della scienza. Ma procediamo con ordine, torniamo alla fondazione della Società Fabiana. Alcuni membri dell'elite vittoriana di fine '800, fra i quali lo scrittore e spiritista Frank Podmore e l'aristocratico Henry Hyde Campione, diedero vita alla Fabian, il cui nome si ispira a Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore,
il console romano noto per aver combattuto Annibale con la sua speciale tattica militare fatta di attese, piccoli scontri,soprannominato quindi il  Temporeggiatore proprio per quel fatto di  logorare le forze nemiche, evitando scontri in campo aperto, ma  cercando invece una guerra tattica, fatta di atti di guerriglia, di nascondimenti, di avanzamenti e arretramenti. Un prendere tempo per arrivare a colpire in maniera decisiva solo al momento opportuno. È esattamente questa la via attraverso la quale i fabiani intendono imporre una dittatura collettivistica, uno Stato socialista mondiale che stabilisca il nuovo ordine. Vogliono instaurare un socialismo guidato da una ristretta aristocrazia del potere, ma non attraverso un atto rivoluzionario immediato quanto piuttosto attraverso il gradualismo, un prendere il potere un po' alla volta, con riforme da attuare inserendosi man mano nei gangli delle istituzioni esistenti, trasformandole, in modo quasi impercettibile, dall'interno. Solo quando si saranno realizzate le condizioni ottimali, allora occorrerà dare la zampata finale, colpire duro e, se necessario, usare anche la violenza per completare l'opera. Un piano che richiede pazienza e tecniche molto più raffinate rispetto a quelle "rozze" e immediate dei bolscevichi sovietici, anche se il fine è molto simile.
Per questo i contatti e i rapporti fra i fabiani e i comunisti russi ci furono e furono importanti. Il grande scrittore 
George Bernard Shaw, uno dei fabiani più famosi di sempre, teneva i ritratti di Stalin e di Lenin ai lati del camino della sua abitazione e i coniugi Sidney e Beatrice Webb, fabiani anch'essi, scrissero nel 1941 la seconda edizione del loro libro sull'URSS, Soviet Communism: A new civilisation?, togliendo il punto interrogativo, ossia la Russia sovietica era, per costoro, una nuova civiltà senza alcun dubbio. E lo fecero mentre in Unione Sovietica le purghe contro i dissidenti, i gulag, le deportazioni e gli stermini erano fatti già noti. Bernard Shaw fece un viaggio in Russia nel 1931, probabilmente incontrò Stalin, e scrisse: «ammiro il realismo di Stalin», affermando che «la Russia non aveva alcun problema alimentare... e che disponeva di un sistema carcerario modello». Aggiungendo: «in Inghilterra un delinquente entra in prigione come un uomo normale e ne esce criminale, mentre in Russia egli entra che è un criminale e ne viene fuori rigenerato... A tal punto che molti carcerati, per migliorare se stessi, si prolungano spontaneamente la pena». Shaw così concludeva: «Stalin ha mantenuto tutte le promesse; ha creato una società giusta e di conseguenza mi tolgo il cappello davanti a lui». Si possono trovare altre dichiarazioni d'amore di questo genere anche da Wells e perfino il grande economista  John Maynard Keynes, nei primi anni '30, ebbe qualche simpatia per i Fabiani, per poi per fortuna rigettare tutta la loro concezione socialistoide unitamente all’ideologia e prassi del comunismo sovietico.  In verita’ le visioni della Fabian erano ben più sofisticate e avanzate di quelle sovietiche, come si comprende anche da un esplicito discorso tenuto da George Bernard Shaw in quegli anni: «Il nostro tipo di propaganda è permeare. Abbiamo spinto i nostri aderenti a iscriversi alle associazioni liberali e radicali del loro distretto o, se preferivano, alle associazioni dei conservatori. Ci siamo infiltrati nelle organizzazioni di partito, e con la più grande abilità e con la massima energia, abbiamo tirato tutti i fili sui quali siamo riusciti a mettere le mani. Abbiamo avuto tanto successo che, nel 1888, abbiamo ottenuto il vantaggio di una solida maggioranza progressista piena di idee che a nessuno sarebbero venute in mente se non ce le avessero messe i fabiani». Fin dall’inizio della loro attivita’  la Fabian Society intraprese un'intensa attività propagandistica attraverso conferenze e opuscoli - i cosidetti  Fabian Tracts – che precisano i connotati del socialismo che intende si  promuovere, massimalista negli intenti ma gradualista nella strategia. La pressoché definitiva fissazione delle idee avviene con la pubblicazione, nel 1889, dei Saggi fabiani - Fabian Essays in Socialism -, una raccolta di conferenze dei fabiani più eminenti, il cui significato è più tardi così descritto da Edward Reynolds Pease (1857-1955), fondatore, a lungo segretario e storico della Fabian Society; "I Fabian Essays presentavano il socialismo come fondato non sulle speculazioni di un filosofo tedesco, ma sulla naturale evoluzione della scienza economica così com'era insegnata dai professori inglesi accreditati; costruivano l'edificio del socialismo sulle fondamenta delle istituzioni politiche e sociali esistenti da noi; dimostravano che il socialismo era semplicemente la prossima fase dello sviluppo della società, resa inevitabile dai mutamenti comportati dalla rivoluzione industriale del XVIII secolo." Nei Saggi i fabiani si accreditano come eredi del radicalismo britannico che, ricollegandosi all'esperienza dei levellers - i "livellatori" - al tempo della prima Rivoluzione inglese (1642-1646), doveva portare, attraverso l'utilitarismo di Jeremy Bentham (1748-1832) e di James Mill (1773-1836), a John Stuart Mill (1806-1873). Ravvisano il compimento dell'utilitarismo - che aveva criticato in nome dell'utile individuale e sociale i concetti di diritto naturale, di legame storico e di obbligazione politica - nella lotta contro la proprietà privata, giudicata un irrazionale residuo del passato, e nella rivalutazione del ruolo dello Stato come promotore della felicità pubblica, l fabiani non attendono dunque - secondo Sidney Webb - "improvvise palingenesi immaginate dagli utopisti e dai rivoluzionari", ma " propugnano soltanto la crescente adozione di un principio di organizzazione sociale che il mondo ha già scoperto essere lo sbocco inevitabile della democrazia e della rivoluzione industriale"; infatti - come afferma Sydney Olivier (1859-1943) - "il socialismo è figlio dell'individualismo. il socialismo non è che individualismo razionalizzato, organizzato, rivestito e con la testa a posto". Individuano perciò promettenti segnali di slittamento verso il collettivismo nelle nazionalizzazioni e nelle municipalizzazioni dell'industria, nello spostamento dell'onere fiscale a carico della rendita e dell'interesse, nella crescente regolamentazione governativa dell'impresa privata, negli elementi di razionalizzazione economica insiti nei cartelli e nei trust, nell'eliminazione, attraverso le società per azioni, dell'elemento personale nell'amministrazione degli affari, a favore di un'anonima burocrazia industriale. Particolare importanza attribuiscono alle municipalizzazioni, ritenute forme collettivistiche più flessibili rispetto alle nazionalizzazioni: fino alla conclusione della prima guerra mondiale i fabiani operano quasi esclusivamente nelle amministrazioni locali, guadagnandosi l'appellativo di socialisti water and gas, "dell'acqua e del gas", e realizzando significative riforme in senso socialista come l'Education Act del 1902-1903, che disegna la fisionomia della pubblica istruzione inglese». Nello stesso periodo manifestano la propensione al lavoro dietro le quinte, la cosiddetta "permeazione", che consiste nell'inoculare -scrive Beatrice Webb - «a ogni classe, a ogni persona la giusta dose di collettivismo che erano in grado di assimilare», e che si rivolge ad ambienti e a personaggi politici locali e nazionali - in primo luogo del Partito Liberale - e del mondo sindacale e cooperativo per spingerli, senza formali conversioni o addirittura inavvertitamente, a scelte pratiche in senso socialista. Il lavoro dietro le quinte ben si addice alla mentalità dei fabiani, che si sono sempre considerati una ristrettissima élite di "ingegneri sociali."

Nel 1895, per iniziativa di S. Webb, la Fabian Society si dota di un istituto parauniversitario, la London School of Economics and Social Sciences, destinato a un notevole ruolo nella formazione dei quadri della pubblica amministrazione anglo-americana e dei paesi dell'impero, prima, e del Commonwealth, poi; nel 1912, inizia la pubblicazione di un settimanale, il New Statesman. «Ho introdotto lo studio del diritto amministrativo alla London School of Economics perché il diritto amministrativo è il germe del collettivismo», ebbe a dire S. Webb a conferma dell'importanza attribuita alla classe dei funzionari pubblici nell'edificio sociale concepito dai fabiani. Durante il primo conflitto mondiale, come poi durante il secondo, S. Webb apprezza le potenzialità socialiste dell'economia di guerra, con la sua razionalizzazione dell'apparato produttivo e con la forzata mobilitazione di uomini e di risorse. Occupandosi di temi di politica internazionale, i leader fabiani manifestano l'aspirazione a uno Stato mondiale a guida tecnocratica - del quale l'impero britannico doveva essere il germe -, incaricato di amministrare pianificatamente le risorse materiali e umane del pianeta. Dagli anni 1890 i fabiani, pur non rinunciando mai completamente alla "permeazione", si dedicano alla consulenza politica dei raggruppamenti socialisti, radicali e sindacali, fino alla nascita, nel 1906, del Labour Party, di cui costituiscono non solo la componente intellettuale, ma anche l'anima realmente socialista. "Per ispirazione fabiana" - scrive lo storico George Douglas Howard Cole (1889-1959), economista e presidente della Fabian Society dal 1939 al 1946 - il partito laburista si trasforma "da vaga federazione di socialisti e sindacalisti in un partito socialista appoggiato dai sindacati". Durante gli anni 1930 i leader fabiani rivolgono la loro attenzione al grande esperimento sovietico. Nel 1931 Shaw visita l'Unione Sovietica ricevendo accoglienze trionfali; L'ammirazione per il socialismo sovietico porta Shaw ad affermare, nel 1947, che i primi fabiani «sono vissuti tanto da vedere il gigantesco esperimento russo convertito completamente al fabianesimo sotto Lenin e Stalin». Gli anni 1930 portano a un parziale rinnovamento dei quadri intellettuali della Fabian Society, la cui attività di ricerca e di propaganda è alla base del programma laburista  con il quale tale Partito vincera’ le elezioni  del 1945:
politica di pieno impiego;
nazionalizzazione di importanti rami dell'industria - combustibili, energia elettrica e trasporti interni -;
pianificazione dei settori industriale e agricolo;
controllo del settore creditizio;
marcata imposizione fiscale sui patrimoni;
controllo degli affitti e dei prezzi;
ampi poteri di espropriazione per pubblica utilità;
allargamento dei servizi sociali e riforma della pubblica istruzione.
La vittoria laburista del 1945 assegna ai fabiani rilevanti responsabilità politiche: oltre al primo ministro Clement Richard Attlee (1883-1967) e a nove ministri, erano fabiani altri trentacinque membri dello staff governativo. Nei sei anni di governo laburista molto di quanto previsto nel programma elettorale viene realizzato o almeno impostato. Quando, nel 1951, cade il gabinetto Attlee, la fisionomia del Welfare State britannico è pressoché definitiva o in via di completamento, e destinata a permanere, sia con i governi laburisti che con quelli conservatori, fino all'era Thatcher, che ha segnato una decisa fuoriuscita della Gran Bretagna dal tunnel del socialismo Con il fabianesimo si enfatizza, a mio parere quel sempiterno compromesso della Societa’ Inglese tra potere e populismo : da Elisabetta la Grande che creava Pari del Regno banditi e corsari, ai tempi della sua grande lotta alla Rivoluzione francese, l’Inghilterra e’ stata sempre il Paese del compromesso, delle abilita’ diplomatica, di non essere mai da una parte precisa, ma sempre da quella piu’ conveniente. Nazione “bottegaia” la defini’ Napoleone ma il suo essere bottegaia e quindi maestra nei raggiri economici e sociali, l’ha sempre portata a prevalere sia contro un Napoleone che contro un Hitler e in tempi recentissimi anche con l’ultima incarnazione del male e della perfidia ovvero la cosidetta Europa Unita, la UE delle banche e della finanza, da cui tuttavia lei Inghilterra il Paese piu’ capitalista di tutti ha preso le distanze: forse perche’ anche il piu’ individualista, ma di un individualismo pronto a perderci la faccia, come fece chesso’ colla rivolta delle Colonie americane o anche con la perdita di tutto il suo Impero Coloniale dopo la seconda guerra mondiale. Si rinuncia a tutto, dignita', onore, prestigio pur di non perdere i propri tornaconti. Non stupiamoci dunque che l’Inghilterra sia la patria della Fabian Society cosi’ come lo e’ delle piu’ potenti logge massoniche .

mercoledì 21 maggio 2025

DESTRA SEMPRE PIU' FASCINOSA

 

E' come la mano, lo sguardo, anche l'emisfero del cervello: da tutti i punti di vista  la Destra e' un'altra cosa ed e' sempre la parte non dico dominante, ma certamente quella piu' affascinante, piu' suggestiva, piu' giusta: al contrario la sinistra e' sempre indicatrice di ambiguita', di conforrmismo, di trita razionalita'   : provate a leggere o rileggere qualche saggio di  Evola Schmitt, Junger, Pound, o anche autori piu' recenti come De Benoist o Dugin, tutta una cultura  che la sinistra e' riuscita a emarginare,  e  vedrete che altra profondita' di pensiero, per cui  sempre piu' mi rendo conto che se vogliamo recuperare una modalita' di "esser-ci "(intendo proprio Heideggeriamente, cioe' dalla filosofia dki  Martin Heidegger altro pensatore di destra) che spazzi via tutto l'orrore degli ultimi anni (per non dire secoli), dobbiamo operare quel grosso distinguo tra Destra e sinistra che non sono piu' le posizioni dei Deputati dell'Assemblea Costituente del 1789 ma una vera e propria modalita' appunto d'esser-ci nel teatro del mondo che tiene conto di tutta una somma di fattori: una sinistra originariamente intesa come populista, democratica, progressista, una destra padronale, aristocratica, sovranista. le recenti vicissitudine della Societa' Umana ci ha invece fatto toccare con mano che queste si!: sono suddivisioni del tutto arbitrarie e decisamente fuorvianti. La mentalita' di sinistra con il turbo capitalismo avanzato e il post progressismo denunciato appunto da De Benoist e sopratutto da Dugin si e' rivelata la piu' sollecita serva del sistema dominante costituito di pochissimi ipercapitalisti eredi dei bottegai di anglosassone memoria, mentre la Destra si e' sempre piu' arroccata in una posizione di compromesso, senza riuscire a ritrovare le ragioni di una sua decisa superiorita' culturale e intellettiva. La vera gente di Destra e' oggi quella ristretta cerchia di persone che non ha creduto alla farsa della pandemia con una influenzetta spacciata per chissa' quale pestilenza inventandosi un fantomatico virus nelle risibili varianti

di una falsa credenza microbica alla Pasteur o addirittura formulando ancora piu' risibili fantasie a proposito della creazione di virus in laboratorio, la Destra non ha creduto alla iatrogena imposizione di vaccinazioni, non ha creduto ai lasciapassare, alle restrizioni, alle segregazioni, al riproporsi in scala generalizzata delle vergognose Leggi Razziali, non ha quindi creduto alle ragioni della Nato nel favorire la guerra in Ucraina e si fa beffe di tutte le panzane sul caldo mai registrato prima
e divulgato a gran carcassa dalla infame classe giornalistica, vera serva di due padroni ; il denaro e la tecnologia. E' a proposito della tecnica e tecnologia che giova rileggersi alcuni passi del libello "Populismo" di De Benoist:
La tecnica ha varcato il mondo umano? ci si chiede ? Per la cultura dominante, l’uomo coincide con i suoi strumenti,e quindi diviene parte funzionale di un meccanismo di dipendenza, quando invece non si rinuncia alla distinzione cruciale tra tecnica e tecnologia, e all’approfondimento del senso della dicotomia che ci ha condotti in una situazione inedita per l’umanità, vi e’ la grande differenza che la tecnica è il saper fare con scopo, mentre tecnologia è un riduzionismo funzionale - scienza applicata che produce un “impianto” – una "Gestell", per dirla con Martin Heidegger – il cui fine è quello di fornirci una funzione senza passare attraverso il saper fare.
Fingendo di liberarci, la tecnologia quindi ci rende dipendenti da un dispositivo privo di scopi. Paradossalmente le culture tradizionali avevano competenze tecniche incomparabili rispetto all’uomo contemporaneo. Carl Schmitt identificò nelle due forme secolarizzate complementari di un pathos – l’uno tecnico, l’altro moralistico – l’elemento basilare di ogni società liberale moderna, vista come l’epoca delle “neutralizzazioni”; epoca nella quale tutto ciò che è politico si sfalda di fronte al prevalere di dinamiche fatte di pura concorrenza, disciplinate da automatismi tecnico-commerciali e da meccanismi che non vedono più uomini e comunità, ma un’informe moltitudine di alienati. La storia resta aperta; in un contesto geopolitico in cui venga meno l’unilateralismo universalistico, si apre l’opportunità di un multipolarismo internazionale. L’Europa è di fronte al proprio declino atlantico, nell’assecondare una subalternità al decadente modello americano, oppure nel cercare un’originale comunità di destino continentale. L’auctoritas è il principio che consente di distinguere tra la legittimità e la mera legalità del potere, subordinando la forza al diritto, inteso in senso non formale e procedurale, ma numinoso; ossia in grado di far riverberare su di sé in modo conforme la coscienza collettiva, ponendo nella forma del limite la potenza: la civiltà contro la barbarie

lunedì 5 maggio 2025

PIU' TRADIMENTO DI COSI'

 

Di questi tempi che non si fa che parlare di Chiesa in merito alla morte  di Papa Francesco un  gesuita cioe' quanto di piu' correlato alla mercificazione del sistema, che difatti si e' contraddistinto per un appoggio incondizionato alle peggio mascalzonate del sistema bottegaio vigente,  giova rileggere alcune considerazioni in materia del filosofo tra i piu' grandi del pensiero, alla stregua di un Kant, di uno Schopenauer, di un Nietzsche di un Heidegger e non certo di un rubagalline come Hegel o i suoi compari delle mani invisibili e dei materialismi storici e dialettici, ovvero Julius Evola 

Tratto da L’Italiano del giugno 1963 considerazioni di Julius Evola  

Diversi anni fa, prima della guerra, Julien Benda scrisse un libro che ebbe notevoli risonanze per accusare un fenomeno caratteristico dei tempi ultimi, pel quale egli usò la designazione trahison des clercs. Prendendo il termine clerc nel suo senso antico, il Benda
con esso si riferì essenzialmente al tipo dell’intellettuale e pensatore ad orientamento etico, la cui funzione in altri tempi era stata la difesa e la testimonianza di valori opposti al materialismo delle masse, alle passioni di parte, agli interessi della mera esistenza umana. Il Benda rilevò che se i clercs non si illudevano di poter realizzare i valori ideali da essi difesi (nel che si palesava un certo orientamento dualistico e pessimistico, il quale non gli fece riconoscere civiltà del passato in cui quei valori stettero effettivamente al centro di organismi tradizionali), pure impedivano che di tutto ciò che è materiale, inferiore e soltanto umano si facesse una religione e gli si attribuisse usurpatoriamente un significato superiore.

Julien Benda

Ebbene, i tempi ultimi ci hanno offerto lo spettacolo della diserzione e del tradimento dei clercs; questi hanno abbandonato le loro posizioni e sono andati a mettere l’intellettualità, il pensiero e la loro stessa autorità al servigio della realtà materiale e dei processi e delle forze che si affermano nel mondo moderno, dando loro una giustificazione, un diritto, un valore. Il che non ha potuto non portare ad una accelerazione e ad un potenziamento senza precedenti di quelle forze e di quei processi. Dal tempo in cui Benda scrisse il suo libro il fenomeno accusato si è solo esteso, e noi abbiamo creduto bene, qui, farvi cenno pel fatto che esso ormai sembra investire i rappresentanti della stessa religione venuta a predominare in Occidente, cioè del cattolicesimo. Infatti non si tratta più dei soli intellettuali cosidetti “impegnati”, dei “progressisti” e degli “storicisti”, non si tratta degli ideologi al servigio degli interessi di partito e dei banditori del “nuovo umanismo”, ma anche dei clercs nel senso proprio del termine; una parte del clero, fino alle supreme gerarchie, sembra incline al “tradimento” accusato del Benda. Il cattolicesimo sta prendendo, in effetti, un orientamento tale che coloro che difendono valori veramente tradizionali, e per ciò stesso di Destra, debbono chiedersi fino a che punto su di esso si può ancora contare come su di un fattore per questa difesa, fino a che punto, invece, una nuova scelta delle vocazioni e delle tradizioni conduce potenzialmente la Chiesa sulla stessa direzione delle forze e delle ideologie sovvertitrici predominanti nel mondo moderno. La popolazione dell’Italia essendo prevalentemente cattolica, il cattolicesimo avendo tuttora radice in larghi strati di essa, esso costituisce anche una forza politica. Così nelle campagne elettorali spesso si è cercato di guadagnarsi una parte delle masse col rifarsi ostentatamente al cattolicesimo e ai “valori morali cattolici”, anche quando ciò si riduceva a mere parole o addirittura ad una ipocrita menzogna. Ma oggi si sta arrivando ad un punto in cui perfino questa giustificazione tattica e opportunistica sembra venir meno, in cui vi è da chiedersi dove la Chiesa va e vuole andare, per potersi orientare coraggiosamente di conseguenza. Che il cattolicesimo da tempo abbia accantonato o messo in terzo piano i valori della vera trascendenza, dell’alta ascesi e della contemplazione (tanto che tutti gli Ordini veramente contemplativi vivono di una vita grama e rischiano di estinguersi), che esso si sia preoccupato, invece e soprattutto, di un moralismo di tipo parrocchiano e borghese, concentrandosi sempre più sul piano comunitario, ciò è ben noto. Però si profila una fase ulteriore, in questa regressione: quella della politicizzazione e del crescente “progressismo” del cattolicesimo.

Angelo Giuseppe Roncalli, Papa Giovanni XXIII

Bisogna dire senza mezzi termini che una parte non indifferente dell’esito disastroso delle ultime elezioni politiche in Italia, con l’avanzata del marxismo e del comunismo, ricade proprio su questo nuovo corso della Chiesa. La sua tacita consacrazione della democrazia cristiana non è stata in nessun modo revocata nel punto del famoso centro-sinistra messo su da tale partito. Al contrario: papa Roncalli non ha perduto occasione per professare il suo “progressismo”, la sua ansia pel “progresso sociale” concepito proprio nei termini materiali e immanenti che in precedenza erano propri alle ideologie laiche. La solenne condanna del marxismo da parte del suo predecessore è valsa praticamente come non esistente; invece è stata avanzata la pericolosa tesi che bisogna dissociare l’ideologia dai suoi possibili effetti pratici, e che se questi effetti sono buoni (secondo l’accennato metro), sull’ideologia si può anche transigere – qui il riferimento al marxismo, se non perfino al comunismo, essendo sufficientemente visibile. Il criterio etico fondamentale, secondo cui ciò che veramente conta non sono i fatti e le utilità bensì le intenzioni, il fondo spirituale, così viene disinvoltamente accantonato. Abbiamo parlato, nei riguardi della Chiesa attuale, di una nuova scelta delle sue tradizioni, la quale oggi presenta un estremo pericolo. Infatti nella storia del cristianesimo figurano anche forme di una “spiritualità” che – non si può disconoscerlo – potrebbe proprio andar incontro alle attuali teorie “sociali” sovvertitrici. Dal punto di vista sociologico il cristianesimo delle origini fu effettivamente un socialismo avant la lettre; rispetto al mondo e alla civiltà classica esso rappresentò un fermento rivoluzionario egualitario, fece leva sullo stato d’animo e sui bisogni delle masse della plebe, dei diseredati e dei senza-tradizione dell’Impero; la sua “buona novella” era quella dell’inversione di tutti i valori stabiliti. Questo sottofondo del cristianesimo delle origini è stato in varia misura contenuto e rettificato col prender forma del cattolicesimo, grazie, in gran parte, ad una influenza “romana”. Il superamento si manifestò anche nella struttura gerarchica della Chiesa; storicamente esso ebbe il suo apogeo nel Medioevo, ma l’orientamento non venne meno nemmeno nel periodo della Controriforma e, infine, con quella che fu chiamata l’“alleanza del trono con l’altare”, col crisma dato dal cattolicesimo alla autorità legittima dall’alto, secondo la dottrina rigorosa di un Joseph de Maistre e di un Donoso Cortés, e con la condanna esplicita, da parte della Chiesa, di liberalismo, democrazia e socialismo – e per ultimo, nel nostro secolo, del modernismoEbbene, tutta questa superstruttura valida del cattolicesimo sembra sgretolarsi per far riemergere proprio il substrato promiscuo, antigerarchico, “sociale” e antiaristocratico del cristianesimo primitivo. Il ritorno a tale substrato è, peraltro, ciò che vi è di meglio per “mettersi al passo coi tempi”, per aggiornarsi col “progresso” e con la “civiltà moderna”, mentre la linea da seguire, da parte di una organizzazione veramente tradizionale, oggi dovrebbe essere assolutamente l’opposta, ossia quella di una triplicata, inflessibile intransigenza, di una messa in primo piano dei veri, puri valori spirituali di contro a tutto il mondo “in progresso”.

“Cristo operaio”: il crocifisso a falce e martello donato da Evo Morales a Bergoglio nel 2015

Abbiamo udito cattolici, come il Maritain e il Mounier, affermare che il vero spirito cristiano oggi vive nei movimenti “sociali” e socialisti operai, lo stesso De Gasperi, in un antico discorso fino a ieri poco volentieri ricordato, avendo riaffermato una tale idea, oltre a quella dell’assoluta concordanza fra spirito cristiano e spirito democratico. Con un gergo autenticamente progressista alti esponenti della Chiesa hanno parlato dei “residui medievalistici” di cui il cattolicesimo deve sbarazzarsi (naturalmente proprio a tali presunti “residui” si legano i valori veramente trascendenti, spirituali e sacrali). Se la Chiesa ieri si ingegnò di costruire più o meno artificiosamente il simbolo del “Cristo Re”, oggi essa ha messo su quello del “Cristo operaio” (con riferimento al periodo in cui Gesù avrebbe lavorato da falegname presso il padre putativo, quasi che ciò avesse una qualsiasi connessione sensata con la sua missione salutifera), per supina adesione al mito dominante (l’“operaio” è sacrosanto – guai a chi lo tocca!). Le teorie del gesuita Teilhard de Chardin, che ha accordato il cattolicesimo con lo scientismo, l’evoluzionismo e il mito del progresso, sebbene i suoi libri non abbiano (ancora) l’imprimatur hanno un largo seguito fra i cattolici (altro sintomo significativo: per la diffusione del pensiero di questo gesuita assai “moderno” si è costituito un comitato internazionale, sotto il patronato di Maria José, la moglie di Umberto II). Si è visto papa Roncalli accogliere cordialmente in udienza la figlia di Krusciev col suo degno marito, dimenticando il mondo di cui costoro sono gli esponenti (mentre si piagnucola e “si prega” per la sorte della “Chiesa del silenzio” nei paesi a regime comunista). Se a tutto ciò, come degno coronamento, si aggiunge l’enciclica Pacem in terris il non sconfessato centro-sinistra del maggiore partito cattolico italiano, vi è forse da stupirsi che molti cattolici si siano sentiti liberati da molti scrupoli e, “allineandosi”, abbiano agevolato l’avanzata delle sinistre? L’apoteosi che alla sua morte è stata fatta da tutte le parti di Giovanni XXIII è significativa; è deplorevole che ad essa si sia associata conformisticamente la stessa stampa ad orientamento nazionale e filofascista. A questa stampa noi non avremmo naturalmente chiesto di parlare aspramente di un morto; ma delle precise riserve avrebbero dovuto esser fatte, a rompere l’uniformità del coro di inni, che non è stata, naturalmente, priva di influenza sulla decisione del conclave, sull’elezione del cardinale Montini. Le buone intenzioni, la bontà e l’umanitarismo del papa avrebbero potuto essere riconosciuti, senza però che ciò impedisse di accusare l’ingenuità quasi infantile di una mente imbevuta di idee democratiche e progressiste (il defunto papa ai suoi tempi era stato, fra l’altro, molto amico di Ernesto Buonaiuti, sacerdote spretato di idee moderniste e socializzanti, naturalmente antifascista). Così il motivo dominante della sua ultima enciclica è stato un ottimismo che ha portato a giudizi inverosimili e pericolosissimi sul carattere positivo di un gruppo di “segni dei tempi”. In più, delle iniziative, a rettificare gli effetti deleteri delle quali, a detta di un cardinale, “occorreranno dei decenni”. È trapelato il fatto che nel concilio fu presentato uno schema circa le Sacre Scritture e la Tradizione a carattere apertamente conservatore; per poter respingere tale schema, secondo la procedura, mancava un centinaio di voti. Il papa, di propria iniziativa, lo fece egualmente respingere e fece elaborare un nuovo schema. All’inizio del concilio egli si era dichiarato “contro tutti questi profeti di sventura che dicono che tutto va di male in peggio… come se ci avvicinassimo alla fine del mondo”.

L’Arcivescovo francese Marcel Lefebvre, simbolo dell’opposizione più intransigente alle riforme del Concilio Vaticano II

L’idea che il benessere e il progresso materiale e sociale – come è affermato in quello schema e come ha preteso lo stesso papa Roncalli – agevolino il vero progresso morale e spirituale non può trovare base alcuna nei Vangeli e il livello spirituale effettivo dei popoli più “progrediti” (per es. gli Stati Uniti o la Germania occidentale) lo conferma. Il “segno dei tempi”, giudicato positivo, dell’ascesa della classe lavoratrice (oltre che della donna) è un’altra pura concessione alla mentalità socialista, se non addirittura proletaria. In quella critica dei cattolici francesi viene ricordato opportunamente che secondo la concezione cattolica il lavoro è solo una specie di oscuro castigo, conseguenza della “caduta”, e che nella teologia morale cattolica tradizionale viene approvato solo quel lavoro che corrisponde ad una vera vocazione e alle pure necessità del proprio stato, fuori da ogni smania di uscire da tale stato a tutti i costi e di “ascendere” – è proprio l’opposto delle attuali concezioniGravissime sono state, nella enciclica Pacem in terris, le conseguenze di quello che bisogna ben chiamare (in un senso quasi psicanalitico) il “complesso della pace”, e proprio il posto ad esso accordato andando incontro all’umana debolezza è stato una delle cause della grande popolarità acquistata da papa Roncalli (“il papa della pace”). Ma qui bisogna mettere a posto le cose. Il punto di partenza è, naturalmente, lo spettro della guerra atomica con una completa autodistruzione dell’umanità. È ovvio che se questo spettro potesse venire esorcizzato in modo positivo, ciò sarebbe confortante (ma non è nemmeno da escludere la possibilità di una guerra non atomica, allo stesso modo che nemmeno negli estremi frangenti dell’ultima guerra mondiale nessuna delle nazioni belligeranti è ricorsa alla guerra chimica). Però quando sono in giuoco i valori supremi, proprio i rappresentanti dell’autorità spirituale dovrebbero formulare un non possumus perfino in casi estremi. In effetti, circa la pace, bisogna pur chiedersi a che cosa deve servire la pace: se per rendere le cose più facili ai milioni di esseri collettivizzati che penano nel paradiso terrestre marx-leninista o, dall’altra parte, ad altri milioni che pensano soltanto a nutrirsi, a bere, a prolificare, ad accumulare elettrodomestici e ad abbrutirsi in vario modo nel clima della prosperity “occidentale”.

Cacciata dei mercanti dal Tempio, opera di Carl Heinrich Bloch, 1872 circa (cliccare per ingrandire).

Ci vengono ricordate le parole del Cristo: “Io vi lascio la mia pace, vi do la mia pace” però senza dar lo stesso risalto al resto della frase, anzi tacendola: “Ma non ve la do come il mondo la dà, ecc.”. L’idea vera, qui, è quella di una pace sinonimo di calma e di fermezza interiore, da mantenersi perfino in mezzo a catastrofi. È su essa che avremmo preferito udir parlare di più, in alto loco, invece del “complesso della pace” che, in uno spirito tutto profano (la pace che “il mondo” può dare), può far indulgere a compromessi, accomodamenti, transazioni e illusorie distensioni: quasi che la distanza che separa le posizioni di una dottrina politico-sociale con fondamenti veramente spirituali e con riconoscimento dei veri valori della persona, e quelle, ad esempio, delle ideologie atee e antireligiose dell’“Oriente” e degli accoliti dell’“Oriente” non fosse maggiore della distanza che in altri casi e in altri tempi fece sì che la Chiesa opponesse, perfino a costo di persecuzioni, il suo deciso non possumus. Così non si dimentichi che del Cristo è parimenti il detto di essere venuto in terra a portare non la pace bensì la guerra (“la spada”) e la divisione, perfino fra coloro che hanno lo stesso sangue, con riferimento a precisi fronti spirituali (Matteo, X, 34-35; Luca, XII, 49, 52). E il gesto del Cristo, che scaccia a frustate i mercanti dal tempio (dovremmo aggiungere: “e dalle prossimità del tempio”), oggi sembrerebbe attuale più che mai, con riguardo ai partiti che si proclamano cattolici ma che vanno a braccetto con massoni e con radicali, che si “aprono a sinistra” e prosperano nel clima di inaudita corruzione del regime parlamentare democratico dei politicanti profittatori. Non è ancora chiaro l’orientamento che, a parte certi suoi precedenti sospetti, il cardinale Montini, in quanto papa, sceglierà (Eh ! caro Julius , purtroppo sara' il mero continuatore del criminale progetto di papa Roncalli ) : se egli seguirà, o no, le orme del suo precedessore tanto acclamato. Quo vadis, Ecclesia? L’alternativa è appunto l’andar incontro il più possibile al “mondo moderno”, col disconoscimento (tipico in papa Roncalli) del lato negativo delle sue correnti predominanti e determinanti, le quali non fanno indulgere a nessun ottimismo – trascurando la lezione tante volte impartita dalla storia, cioè che chi si è illuso di poter dirigere le forze della sovversione flettendo o assecondandone in un certo modo il corso ha sempre finito con l’esser travolto da esse: oppure una energica reazione, una intransigente presa di posizione nel segno dei valori spirituali, sacrali e trascendenti, il che non potrebbe non condurre, anche, ad una revisione radicale dei rapporti con quel partito di maggioranza che in Italia abusa della qualità di “cattolico” e che sta facendo di tutto, irresponsabilmente, per preparare le vie al comunismo. Ne seguirebbe, forse anche, la possibilità di un nuovo concentramento delle forze veramente anticomuniste. Purtroppo non vi sono molti motivi per essere ottimisti nei riguardi non solo di una scelta positiva di fronte a questa alternativa, ossia di un coraggioso mutamento di corso della Chiesa, ma anche della volontà di riconoscere e affrontare decisamente il problema, non obbedendo a nessuna suggestione dei tempi. Così stando le cose, penseremmo che alle forze di Destra s’imponga il mantenere una precisa distanza, per disagevole che ciò possa essere.

Come noi non possiamo approvare l’ormai inutile appello tattico ai valori cattolici nelle campagne elettorali, dato il piano in cui essi sono scesi e la facilità, da parte delle forze opposte, di far leva invece sul cattolicesimo “progressista”, democratico e “sociale” – così noi non sapremmo nemmeno approvare certi piccoli gruppi “tradizionalisti” che si ostinano a valorizzazioni stentate che sono invero prive di ogni senso quando di esse non viene presa l’iniziativa nelle alte gerarchie, da coloro che nella Chiesa rivestono una autorità. Chi conosce le nostre opere sa anche la posizione che, dal punto di vista dottrinale e di filosofia della storia, abbiamo, in genere, di fronte al cattolicesimo. Abbiamo anche avuto occasione di scrivere che “chi è tradizionale essendo cattolico, non è tradizionale che a metà”. Tuttavia nel nostro abbastanza recente libro Gli uomini e le rovine avevamo detto: “Se oggi il cattolicesimo, sentendo che tempi decisivi si avvicinano, avesse la forza di staccarsi davvero dal piano contingente e di seguire una linea di alta ascesi, se esso, appunto su tale base, quasi in una ripresa dello spirito del migliore Medioevo crociato, facesse della fede l’anima di un blocco armato di forze, compatto e irresistibile, diretto contro le correnti del caos, del cedimento, della sovversione e del materialismo politico del mondo attuale, certo, in tal caso per una scelta (da parte nostra) non potrebbero esservi dubbi. Ma le cose purtroppo non stanno così”. Se dunque non si verificherà un mutamento sostanziale, se lo sviluppo involutivo di cui in queste nostre note abbiamo indicato alcuni aspetti continuerà il suo corso, bisognerà pur regolarsi di conseguenza, rinunciare ad uno dei fattori che altrimenti avrebbe potuto avere una parte non trascurabile (date le tradizioni sussistenti in vari strati del popolo italiano) e decidersi a seguire una linea indipendente (ci riferiamo a partiti “nazionali” o di Destra): linea più difficile, ma almeno chiara e senza compromessi.

GLI DEI DENTRO DI NOI

  Siamo abituati a marcare la storia con personaggi e eventi , ma sarebbe il caso di concentrarsi  forse di piu'  su modalita'  di r...