giovedì 18 luglio 2024

IL VIRUS E LE SUE ZAMPETTE


Non c'e' dubbio che  la parola “virus”  (ed anche diciamo i ridicoli disegnetti elaborazioni computerizzate che hanno fatto dire ad un "eminente virologo la risibile frase che "il covid va preso per le sue zampette" come se davvero un elemento infinitesimale quale dovrebbe essere un virus potesse avere zampette" e’ stata , a partire dagli anni dal 2020 in poi, la piu’ usata e abusata in tutto il mondo  a causa della supposta pandemia con la nuova denominazione di  Coronavirus o più schematicamente  Covid 19, che ha provocato quel po' po' di baraonda mediatica condita di paura, panico, isolamento sociale, conflitti territoriali, e ulteriori misure coatte per opprimere la gente, che come abbiano toccato con mano, sono state capaci di innescare profondi meccanismi di dipendenza e idiozia generalizzate, tanto piu’ esasperate quanto meno rispondenti ad una effettiva emergenza, essendo alla fin fine tutto ridotto ad una banale influenzetta, spacciata come epocale pestilenza dai poteri costituiti finanziari, economici e tecnocratici  con in piu'  lo stuolo di battitori, molto poco liberi, ma veri e propri docili servi, della compagine dei mass media.  Da una parte ci siamo sentiti ripiombare nelle descrizioni
della pestilenza  delle pagine dei Promessi Sposi del Manzoni, o ancor prima in quelle della meta' del '400 con le denominazioni spauracchio "peste bubbonica" peste nera"  dall'altro si e', forse con ancor maggiore enfasi,  data la attuale diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, creato lulteriore  spauracchio del mostro-virus correlandolo di quanto di peggio possa essere esperito nella storia del genere umano, al cui confronto i mostri di qualsiasi immaginario dall'orco, alla strega. al lupo mannaro agli addirittura letterari Frankestein, Dracula, Hide, fanno la figura di mammolette. Come spesso avviene pero' i mostri non vanno ricercati all'esterno , ma all'interno di noi, in particolare da quel sonno della ragione che il pittore Goya individuava appunto come generatore di qualsivoglia mostro.

In realta' i virus  potrebbero davvero  essere  delle formazioni create dallo stesso individuo e fare la loro comparsa nell'organismo umano  come sottoprodotti dell'attivazione di uno specifico programma biologico.  Possiamo asserire tale ipotesi grazie alle scoperte del Dottor Hamer, in particolare  nella sua relazione all'embriologia e alla connessione mente/corpo dove  e’ stato ipotizzato che i programmi originati nell'ectoderma, cioè nella corteccia cerebrale, utilizzerebbero determinate  formazioni biologiche, che lo stesso Hamer in prima battuta ha attribuito al termine virus come messaggere e fornitrici  di materiali per completare la riparazione cellulareun processo che inizia nella fase di guarigione  quindi nella PCL della fase vagotonica che si servirebbero di tali formazioni biologiche per  fornire tutto il materiale e le informazioni necessarie per riparare le ulcerazioni  generatesi  durante la fase attiva del conflitto.  Tuttavia, cosa succederebbe se i virus non esistessero come anche Hamer in studi successivi e piu’ approfonditi  e’ andato sostenendo, o perlomeno, come ho fatto cenno sopra, quelli che denominiamo arbitrariamente virus sono tutt’altra cosa? Come potremmo esaminare, studiare, analizzare ed emettere giudizi su qualcosa che non esiste in quanto tale?
Accettiamo che esistano strutture con RNA o DNA, arbitrariamente denominate  virus dalla scienza accademica, ma comprendiamo che la loro funzione è quella di fornire gli elementi necessari per la riparazione completa a un gruppo di cellule, provenienti da uno specifico strato embriologico (ectoderma)., ma avendo sostenuto che quelli che la medicina chiama virus sono in  realta’ delle formazioni  create dal nostro stesso cervello  per avviare un processo di riparazione di un corpo sollecitato, se ne evince che non puo’ esistere alcun contagio,  ma si può programmare uno speciale e significativo programma biologico, anzi si puo’ fare anche di peggio, come dimostrano i recenti fatti del 2020/21 e 22, perche’ con la propaganda e la diffusione della paura  si puo’ indurre un generalizzato stato di allarme con perenne emergenza,  incentrato appunto sulle sintomatologie specifiche  che  grandi quantita’ di  persone sperimentano lo stesso conflitto nello stesso contesto e con gli stessi sintomi: si puo  davvero ipotizzare che  la comparsa di nuove “malattie infettive” e anche di “nuovi virus” quale appunto il sedicente corona virus o covid 19 va di pari passo con la comparsa di nuovi problemi sociali e parimenti la ricomparsa di vecchie malattie corrisponde alla riattivazione degli stessi problemi del passato.
Fondamentalmente, ciò che dobbiamo capire da questa affermazione è che le pandemie sono correlate a quelli che chiamiamo shock biologici sociali , vale a dire che un gran numero di persone in una popolazione subirà uno specifico shock biologico e che quando sarà risolto
darà origine a presunte malattie infettive specifiche, che si diffonderanno in ampi segmenti della popolazione. Certo, a questo punto si parlerà di epidemia o  pandemia 
Sebbene esistano alcune fotografie da microscopi elettronici a scansione, dove si possono osservare formazioni che potrebbero corrispondere a un virus, non si può nemmeno differenziare se si tratta di detriti cellulari, vescicole cellulari isolate, materiale genetico liberole particelle osservate al microscopio elettronico, le cui caratteristiche sono simili a un retrovirus, erano state descritte nel 1970 e nel 1972, identificate come particelle della famiglia di tipo C (presenti in immagini di placenta umana e altri tessuti sani e senza infezioni virali). Nessuno è riuscito a dimostrare l'esistenza di un virus, nemmeno attraverso la manipolazione in terreni di coltura, tanto meno in tessuto sano e se ci sono immagini che corrisponderebbero a "virus", oltre a detriti cellulari, vescicole cellulari, resti di genetica codice, esosomi, ecc.). Resta pertanto una altra delle peggiori baggianate della cosidetta scienza che ha accettato il diktat di elementi estranei, quali le societa' petrolifere e di riflesso farmaceutiche ( la connivenza tra le due, chiamiamole entita' risale ai tempi del famigerato
Protocollo Flexner (1910) dove si e' perpetrato il fatale connubio tra spregiudicati industriali tipo David Rockfeller e pseudo scienziati tipo Pasteur, che ha sancito definitivamente la dipendenza della ricerca e dello studio dal denaro e da  interessi unicamente di profitto e quindi di mercimonio )

giovedì 11 luglio 2024

LA CULTURA E LA MANIPOLAZIONE

 

C'e' una correlazione tra cultura  e manipolazione? come sempre , io sostengo che le cose stanno un po' a meta'  in quanto faccio un distinguo quando la cultura si sposa alla sinistra ed in genere a quel buonismo intellettuale, che caratterizza tale mentalità, e che informa quella che generalmente viene etichettata come faziosità e quella che invece si riferisce ad un aspetto meno rigido della conoscenza, piu' malleabile e quindi meno dogmatico quale si assiste invece dalla parte che un po' fumosamente viene detta la destra . Da un lato la manipolazione mediatica isola una o più caratteristiche di larga diffusione - l'istruzione superiore, la residenza in un'area metropolitana, la gioventù - e le trasforma in distintivi di appartenenza a una élite sedicente virtuosa in seno alla comunità di riferimento, dall'altro crea un'aspettativa positiva associando queste caratteristiche a preferenze politiche presentate in termini altrettanto positivi: l'internazionalismo, l'europeismo, il politicamente corretto, generando così nei destinatari un obbligo morale ad aderirvi, per certificare la propria appartenenza alla schiera dei migliori. Il fenomeno, noto agli psicologi sociali come Effetto Rosenthal o Effetto Pigmalione, descrive la possibilità di indurre i comportamenti e/o le qualità di un soggetto rendendogliene manifesta l'aspettativa da parte di un'autorità o di una guida riconosciuta. Se i giornali scrivono che i cittadini più istruiti votano progressista perché sono saggi, questi ultimi tenderanno ad avverare la profezia votando progressista, sì da essere degni di annoverarsi tra i saggi. Collateralmente anche i meno istruiti, purché esposti alla narrazione, orienteranno le proprie opinioni verso il medesimo standard per assimilarsi ai migliori. In questo modo la descrizione mediatica diventa norma coattiva, avverando se stessa. n un altro articolo di questo blog si è visto come il principale movente politico della vasta e longeva categoria dei moderati non risieda nell'interesse o negli ideali, ma piuttosto in un desiderio di celebrare la propria superiorità aderendo agli standard etico-politici di volta in volta fabbricati e magnificati dagli organi di stampa, cioè dal potere in carica. Si è anche visto come la coltivazione di exempla negativi da cui distinguersi - gli estremisti, i razzisti, i fascisti, i terroristi, gli indifferenti, la pancia degli elettori ecc. - sia strettamente funzionale all'allestimento letterario di quegli standard buonisti e alla loro imposizione: il terrore di finire dietro la lavagna con il cappello dell'infamia spinge i gregari a suffragare qualsiasi atto, anche il più atroce. È il terrore atavico dell'esclusione dal branco, la cui urgenza irrazionale diventa strumento di propaganda e di sottomissione in quanto prevale sugli interessi dei singoli, anche i più legittimi, e li annulla nell'imperativo di un presunto bene spersonalizzato e comune - cioè del personalissimo bene di chi detta le trame ai giornali.

Ai mezzi di informazione spetta il compito di alimentare questa aggregazione autocelebrativa coltivando simboli, mode, antagonismi e dibattiti che, per aggredire i gangli prerazionali del target, devono affondare la loro suggestione negli archetipi più radicati e ancestrali. Quindi e' piu' che altro l'erudizione che e' devocata a raccogliere il messaggio con tutte le implicazioni di approssimazioni e anche di falsita' , non essendo tale da saper distinguere una corretta differenza. Che dei dotti, un po' piu' raffinati degli eruditi debbano avocare a sé la guida delle cose pubbliche era già in Platone, là dove contrapponeva alla democrazia ateniese la sofocrazia, il governo dei filosofi e dei sapienti. Dall'altro, l'attenzione al grado di istruzione innesca un automatismo pedagogico che rispecchia l'infantilismo coltivato dai media e dove la qualità degli individui è misurata in termini di diligenza e non di intelligenza. Sicché lo studente/cittadino meritevole è quello che ascolta la maestra, passa gli esami e consegue il titolo di studio, così come il politico buono è quello onesto che si attiene alle regole senza metterle in discussione, il lettore buono è quello che ripete tutto ciò che legge sui giornali e il popolo buono è quello che fa i compiti a casa di merkeliana memoria, senza interrogarsi sulla bontà del progetto politico sotteso. Il successo di questa articolata "captatio benevolentiae" è tale da suscitare non solo l'autocompiacimento dei suoi destinatari - sì da renderli argilla nelle mani del manovratore di turno - ma anche un odio acerrimo verso chi non si conforma allo schema. I moderati, nonostante rappresentino di norma la maggioranza dell'elettorato (diversamente il potere non se ne curerebbe), amano immaginarsi come uno sparuto manipolo chiamato a difendere la fiamma della civiltà dai barbari. La loro forza sta nella paura, e la paura genera odio. Sicché, nei rari casi in cui la realtà non si conforma alle loro aspettative, si scagliano contro chiunque ardisca trasgredire il catechismo impartito dai loro giornali. Il subumano va arginato e interdetto per il bene di tutti e in deroga a tutto. Resta l'effetto: quello di rendere dicibile l'indicibile - la revoca del suffragio universale - e di gettarne il tarlo nelle teste dei lettori, così da prepararli ad applaudirne l'avvento e illuderli che, quando ciò accadrà, loro non ne saranno colpiti trovandosi al sicuro sulla sponda dei migliori. Insomma è sputato quello che sta accadendo oggi con questa farsa della pandemia, di un terrificante , anzi flagellante (per usare un termine assai caro alla stampa di regime) contagio, che in realtà ha quasi realizzato il sogno indistruttibile della medicina allopatica e della farmacologia "di fare di ogni sano un malato" tirando fuori dal cappello di illusionista i termini del nuovo "crugifice" negazionista, complottista, no vax, no mask. Avendo chiarito che le temibili decisioni della massa ignorante non sono altro che le decisioni sgradite alla massa degli opinionisti e dei loro lettori, non è del tutto ozioso chiedersi se esista davvero, e in che misura, una correlazione tra l'istruzione/informazione degli elettori e la qualità della loro partecipazione politica. Nel mischione semantico postmoderno, "scientia" (conoscenza) e "sapientia" (saggezza) convergono nell'accezione burocratica del sapere certificato dai titoli di studio, sicché la sofocrazia platonica - il governo dei saggi - diventa il governo dei laureati e, a fortiori, di coloro che formano i laureati, cioè dei professori, attestati da non meglio precisati titoli se non quelli di un asservimento da mercimonio al sistema . Essa diventa quindi tecnocrazia, l'esito ossessivo della contemporaneità politica in cui l'equivoco di una seduzione antica si coniuga con l'ulteriore equivoco di una competenza che si vorrebbe rivolta agli strumenti - il diritto pubblico, i regolamenti di settore, le norme contabili ecc. - e non ai fini del governo comune. Se gli strumenti nascono al servizio dei fini, escludere dalla determinazione dei fini coloro che non conoscono gli strumenti è un modo intellettualmente puerile per avocare a sé le decisioni, nel proprio interesse. Per lo stesso risibile principio, chi non ha studiato l'armonia tonale non potrebbe esprimere preferenze musicali, chi non conosce l'aerodinamica non potrebbe decidere su quale volo imbarcarsi e a chi ignora la geologia degli idrocarburi andrebbe vietato di impostare il termostato di casa. L'aristocrazia del passato, più onesta, spregiava il vile meccanico anteponendogli l'erudizione e il lignaggio. Quella odierna lo glorifica per dare una parvenza di asettica meritocrazia ai propri capricci. Si riporta un'interessante ricerca della professoressa Penny Lewis sulla ricezione della guerra di Vietnam presso il pubblico americano di quindi più di mezzo secolo fa " in generale, i settori più istruiti del pubblico hanno sostenuto più di tutti il prolungamento dell'impegno militare americano [in Vietnam].
Nel febbraio del 1970, ad esempio, Gallup sottoponeva al campione il seguente quesito: "Alcuni senatori sostengono che dovremmo ritirare immediatamente le nostre truppe dal Vietnam: siete d'accordo?". Tra coloro che fornirono una risposta, si espressero in favore del ritiro immediato oltre la metà degli adulti in possesso di licenza elementare, circa il 40% dei diplomati e solo il 30% di coloro che avevano frequentato un'università. Non si trattava di un'anomalia statistica. Nel maggio del 1971 il 66% dei rispondenti laureati riteneva che la guerra fosse stata un errore, a fronte del 75% dei diplomati. In generale, un'attenta lettura dei dati dimostra che nella maggior parte delle questioni riguardanti la guerra, la più forte opposizione al coinvolgimento americano in Vietnam provenne dalla parte meno istruita della popolazione. " Tornando al nostro Paese : p
oiché raramente i programmi di storia dei licei si spingono oltre il Fascismo, ci piace ricordare anche ai più istruiti che cosa fu la guerra in Vientam: una lunga, inutile e sterminata carneficina, la più grande dopo la seconda guerra mondiale, con oltre 5 milioni di morti di cui quasi 4 civili, dieci nazioni coinvolte, rappresaglie, stupri, torture e milioni di sopravvissuti traumatizzati a vita. Ma essa fu anche la più grande sconfitta politica e militare degli Stati Uniti, che in quell'avventura persero oltre 160 miliardi di dollari e quasi 50.000 uomini senza ottenere nulla, se non la vergogna di un attacco infame e di una disfatta su tutti i fronti. Inaugurata con il pretesto evergreen di proteggere un gruppuscolo esotico dai cattivoni di turno (allora erano i comunisti, oggi frequenterebbero una moschea) e degenerata nella penosa illusione di "rendere credibile la potenza" americana (cit. JFK), la guerra in Vietnam durò vent'anni. E in quei vent'anni l'opinione pubblica americana ne conobbe le atrocità leggendo i reportage, seguendo i documentari e ascoltando le testimonianze dei rimpatriati. Con il passare degli anni anche la prospettiva di un esito favorevole del conflitto appariva sempre più remota, sicché sostenere l'impegno militare dopo 15 anni di inutili stragi non era da ignoranti, ma da stupidi. E i più stupidi erano proprio i meno ignoranti. Più avanti, nello stesso libro, si riporta la conclusione di uno studio condotto dal prof. Richard Hamilton nel 1968, secondo il quale: " ... la preferenza per le alternative politiche più "dure" si riscontra con maggior frequenza tra i seguenti gruppi sociali: i più istruiti, coloro che occupano posizioni di prestigio, le categorie ad alto reddito, i giovani e le persone che prestano molta attenzione ai giornali e alle riviste. La testimonianza è di sorprendente attualità. Non solo perché le categorie sociali citate - gli istruiti, i prestigiosi, i benestanti, i giovani, prevalenti tra i falchi politicamente miopi di allora - sono esattamente le stesse in cui la stampa di oggi pretende invece di celebrare l'elettorato più lungimirante, ma soprattutto per la chiave di lettura che si anticipa nella chiusa. Queste persone non sono semplicemente informate, ma "prestano molta attenzione ai giornali e alle riviste". La ricerca di Hamilton evidenzia una correlazione tra quegli status sociali e una maggiore inclinazione a lasciarsi orientare dall'informazione stampata, cioè dalla propaganda. Elidendo i termini centrali, le retoriche degli opinionisti moderni si potrebbero allora ritradurre e semplificare così: l'elettore buono è quello che fa ciò che gli dicono i giornali. A prescindere dalla condizione sociale, che è strettamente funzionale a fabbricare nei manipolati l'illusione della propria superiorità e indipendenza (se in altre circostanze i più obbedienti fossero stati gli incolti, si sarebbe detto che i colti erano inconcludenti, debosciati ecc.). Ma perché i cittadini più istruiti e sopratutto quelli di sinistra sono, mediamente, anche i più esposti alla propaganda? Sul tema una riflessione del sociologo francese Jacques Ellul, dove si sostiene che la moderna propaganda non può funzionare senza "istruzione" o perlomeno una istruzione "incanalata" servile al sistema quale alla fin fine dopo secoli di protesta sempre un pò manierata, sempre

con un sottofondo di frustrazione e di atavica invidia, la sinistra doveva pervenire, mostrando, come ho scritto in un precedente articolo del blog LeNardullier.blogspot.com, di essere in sostanza l'altra faccia di una stessa medaglia e cioè quella del capitalismo nato dalla Rivoluzione Industriale e del progressivo consumismo. Ellul ribalta la nozione prevalente secondo cui l'istruzione sarebbe la migliore profilassi contro la propaganda. Al contrario, sostiene che l'istruzione, o comunque ciò che è comunemente designato con questo termine nel mondo moderno, è il prerequisito assoluto della propaganda. Di fatto, il concetto di istruzione è ampiamente sovrapponibile a ciò che definisce "pre-propaganda": il condizionamento delle menti tramite l'immissione di grandi quantità di informazioni tra loro incoerenti, già dispensate per altri fini e presentate come "fatti" e "cultura". Ellul prosegue il ragionamento designando gli intellettuali come la categoria più vulnerabile alla propaganda moderna, per tre motivi: 1) assorbono la più grande quantità di informazioni non verificabili e di seconda mano; 2) sentono il bisogno impellente di esprimere un'opinione su qualsiasi importante questione di attualità, e pertanto soccombono facilmente alle opinioni offerte loro dalla propaganda su informazioni che non sono in grado di comprendere; 3) si considerano in grado di "giudicare per conto proprio". Hanno letteralmente bisogno della propaganda.
In termini pedanti, l'istruzione scolastica al netto delle competenze tecniche che impartisce (da cui l'illusione tecnocratica) è il veicolo di trasmissione di un'impalcatura simbolica che riflette e rafforza, in termini necessariamente schematici e riduttivi, gli automatismi ideali della comunità politica di appartenenza.
Un ulteriore esempio, tra i tanti, è la permeabilità del pubblico al discorso pseudoscientifico, che veicola messaggi privi di fondamento scientifico ammantandoli del lessico e del contesto - accademico, editoriale, mediatico ecc. - propri della scienza. La seduzione di questa cosmesi è evidentemente tanto più efficace verso coloro che hanno maturato un rispetto acritico e istintivo verso le insegne della scienza e dei suoi luoghi, cioè in chi ne ha più a lungo subito l'autorità nel corso degli studi. Ciò realizza puntualmente l'intuizione di Ellul: l'istruzione è necessaria per affermare l'autorità dei maestri, ma quasi mai sufficiente per verificarne gli insegnamenti. È un caso etimologico che "dotto" e "indottrinato" condividano la stessa radice (dŏcĕo), e così anche "sedotto" ed "educato" (dūco). Non è invece un caso che i cittadini più istruiti, sia per il maggior prestigio sociale di cui mediamente godono, sia per l'impalcatura simbolica dispensatagli dalla scuola, sia per un risibile e mal dissimulato orgoglio di classe, siano i bersagli non solo preferiti dalla propaganda, ma anche i più facili. e comunque e' un po' la medesima tesi dell'ironicissimo fisico quantista Richard Feynman che prendeva le distanze da una cultura un po' troppo superficiale e quindi suscettibile di essere manipolata, proprio quella che emerge dal piu' che secolare rovellio intellettuale della ideologia di sinistra e che ha come suo archetipo originario non tanto il pensiero di Karl Marx, quanto del suo massimo ispiratore ovvero quel Giorgio Hegel che ipocritamente sosteneva che il reale è razionale e il razionale reale, proprio per mettersi al sicuro da critiche fin troppo plausibili che filosofi meno inclini alla piaggeria (Schopenauer, Nietzsche, financo un Freud) avrebbero potuto muovere ad un'idiozia del genere
Non è difatti un caso che proprio gli intellettuali siano sempre stata la classe sociale più pronta ad accettare i dettami delle più feroci dittature, gli intellettuali ed anche gli artisti e oggi più che mai, la pressocchè quasi totalità degli operatori dello spettacolo e della comunicazione ( attori, scrittori, giornalisti , etc.) inverando in pieno la tematica del figlio di Thomas Mann : Klaus, con il suo romanzo Mephist

ENTUSIASMO PER GLI DEI DELL'ETA' DELL'ORO

  La Techne' fu una  pratica di rappresentazione sempre piu’ raffinata - termine che nella accezione antica aveva pero’ un significato m...